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07 maggio 2014

Eremo di Ronzano




Tornando a casa dopo aver pranzo fuori in una gradevole giornata di sole, abbiamo deciso di andare a cercare Santa Apollonia di Mezzaratta lungo la ripida salita dell’Osservanza, celebre, quando ero ragazzo, per provare le capacità arrampicatrici delle moto.
“Va su per l’Osservanza in seconda, senza tirarle il collo” era un buon voto per una  moto leggera di allora.
A metà della salita, mezza (t)ratta è questo che significa, abbiamo guardato a destra e a sinistra, ma niente da fare. Non l’abbiamo trovata. Ci riproveremo per vedere cosa è rimasto di uno dei tesori del gotico bolognese dopo lo stacco degli affreschi di Vitale da Bologna e Simone dei Crocefissi: fra i maggiori maestri del trecento bolognese. Quanto rimane degli affreschi e delle sinopie dopo lo stacco è ora ospitato molto degnamente nella pinacoteca nazionale di Bologna dove è stato riposizionato con diligenza in un ambiente che riproduce fedelmente quello originale di Mezzaratta. Purtroppo gli affreschi sono molto rovinati e in larga misura perduti. Quanto rimane è sufficiente per far rimpiangere amaramente la rovina in cui è caduto questo capolavoro. Sull’argomento ritornerò più ampiamente e in modo più documentato.
Per consolarci del mancato ritrovamento, ci siamo tuffati alla ricerca dell’eremo di Ronzàno attraverso le strette stradine dei colli bolognesi, meno battute, per fortuna, di quelle fiorentine, ma non meno gradevoli.

Eremo di Ronzano

Frequentato fin dall’età del ferro e poi da Etruschi e Romani, ora è un piccolo complesso abitato da una sparuta comunità religiosa cattolica: i servi di Maria. In una bella giornata di primavera è un paradiso silenzioso e profumato: imponenti querce secolari, castagni, allori, oleandri, pitosfori in fiore, monumentali cipressi mediterranei in duplice filare e, dovunque, morbidi declivi di prati fioriti di margheritine. Fin troppo!
In compenso la chiesa è una struttura modesta con affreschi parietali (vedi foto sopra) in gran parte perduti e di qualità non superba, giudicando da quanto è rimasto. Il portone era spalancato per fare entrare l’aria tiepida e il sole e sconfiggere l’umidità, subdolo nemico di pietre e dipinti.
Nessun umano in vista: ottimo!
Riprendendo l’auto, siamo riusciti a rientrare a casa restando sempre in quota su deserte strade collinari, evitando il traffico cittadino, in agguato poco sotto.

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