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prima del 9 Aprile 2008, data di apertura di questo blog.
Da allora in poi, ne e' una replica fedele.


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18 novembre 2014

FACTOTUM

dissuasoreIn via Clavature, nel quadrilatero romano che ospita il mercato vecchio, si trova una robusta colonnetta di metallo capace di scomparire a comando nella pavimentazione di porfido. Lo scopo del marchingegno chiamato "dissuasore mobile" è quello di impedire, quando sporge dal terreno, il transito degli autoveicoli comuni del popolo di dio, pur consentendolo ai pochi privilegiati che ne abbiano dimostrato la necessità o la pubblica utilità.
Di solito si tratta dei furgoni commerciali destinati al rifornimento dei negozi e dei banchi della zona che, con un'apposita tessera, persuadono il dissuasore a sparire momentaneamente sotto terra per lasciarli passare.
Al loro primo apparire, le colonnette a scomparsa destarono una certa curiosità non solo nei bambini e c'era sempre qualche spettatore che assisteva alla sparizione e ricomparsa del cilindro di acciaio con lucette sfolgoranti. 
Dopo anni di servizio, il dissuasore si è ormai guadagnato l'indifferenza generale e anche la mia, ma oggi per la prima volta ho notato una piccola etichetta in fondo al cartello segnaletico di pericolo. C'è sempre stata? o è una recente aggiunta?
La natura della scritta latino-americana "FUCKTOTUM", cioè "FOTTITUTTO" fa pensare ad uno scherzo, ma chi può dirlo (kilpoldir?)? Che sia un incitamento multilinguistico nelle due lingue universali del presente e del passato alla distruzione del tutto?
Uno sberleffo irriverente ad una nuova fastidiosa trovata tecnologica, che sfrutta l'omofonia con il comune termine FACTOTUM, o altro ancora?
Se qualche cortese lettore conosce la spiegazione del piccolo enigma me lo scriva PLEASEQUAESO.
Indagate fratres.


18 ottobre 2014

Un chilo e due di carta



Oggi La repubblica pesa 1220 grammi, stando alla bilancia di cucina. Inutile dire che ben più di mezzo kg, forse fra i due terzi e i tre quarti del peso totale, è pubblicità esplicita e smaccata prevalentemente di moda, alla quale va aggiunta quella più subdola, ma neanche troppo coperta, che i cosiddetti articoli contengono. Va bene così? non credo proprio.



Mia moglie ed io eravamo presenti alla conferenza che Eugenio Scalfari tenne a Bologna per presentare il giornale che stava per lanciare in concorrenza con il Corriere, la Stampa e, nella nostra città, il Carlino: re della cronaca locale.
Sarebbe stato un giornale agile, indipendente, senza sport e senza cronaca nera: poca carta, molte idee contro-corrente. Un giornale d'opinione, non fazioso, per un pubblico insoddisfatto del panorama stagnate e conformista dei quotidiani nazionali a grande tiratura.
Cosa sia diventato, con il passare degli anni, questo gioiellino pretenzioso è sotto gli occhi di tutti: un obeso veicolo pubblicitario.
Che ne dici caro Eugenio del tuo bel progetto? Era proprio inevitabile questo degrado sconfortante che ha tradito in pieno il tuo progetto e noi affezionati lettori dei primi numeri che avevamo creduto alle tue promesse?

09 ottobre 2014

Se non a Bologna... dove?



"Se non a Bologna... dove?
Anche in questo fine-settimana il centro di Bologna si è popolato delle ormai abituali pagodine bianche. Questa volta sono piene di mortadelle e sono disposte a schiera lungo il "crescentone" di piazza Maggiore e sotto lo sguardo incuriosito del Nettuno, stanco di pesce-sempre-pesce.

fiera della mortadella

E' in corso, infatti, MORTADELLABO', una specie di sagra dell'insaccato rosa, celebre nel mondo e per questo anche malamente imitato e contraffatto. Al simpatico motto: "chi la fa l'affetti" i produttori della vera mortadella di Bologna, protetta dal marchio europeo IGP (indicazione geografica protetta) offrono all'assaggio e all'acquisto il loro prodotto pregiato in un'atmosfera festosa e paesana. Non mancano vino e piadine, naturalmente, abituali compagni di baldoria delle profumate fette lardellate.
Se non si fosse capito bene, a me piace la mortadella e, pensandoci bene, non conosco nessuno a cui non piaccia, a memoria d'uomo.

03 ottobre 2014

Chiuso per preghiera



Oggi, venerdì, giorno feriale di mercato in piazzola per i bolognesi, festivo per i pachistani e assolutamente indifferente per i cinesi, abbiamo trovato parcheggio alla Bolognina verso l'una di fronte ad un fruttivendolo stranamente chiuso.
Il vecchio quartiere della Bolognina, costruito a Nord dei binari della stazione centrale, era noto come quartiere dei ferrovieri e dei cinesi, presenti già da molto tempo con le loro attività commerciali e manifatturiere. Oggi la situazione è cambiata e la zona si è popolata di altre etnie, un tempo del tutto sconosciute e assenti. Fra queste ci sono i pachistani che, da musulmani ferventi, conducono negozi di frutta o piccole botteghe generiche di alimentari, ma niente carne, meno che mai quella di maiale, centrale, invece, nell'alimentazione tradizionale emiliana.
Queste botteghe sono sempre aperte, stando ai cartelli esposti che dichiarano spesso degli orari impensabili qui da noi: tutti i giorni dalle 8 alle 23, domeniche comprese, ma è meglio non contarci troppo.
Volendo comprare un grappolo d'uva o il latte dimenticato nel fare la spesa generale, mi sono ritrovato, infatti, con un pugno di mosche di fronte ad un cartello "Torno subito" che può valere anche ore. Mi ricorda il "Just roud the corner" che a Dublino può equivalere anche a tre kilometri. Paese che vai...

fruttivendolo

Per la prima volta oggi all'una, sulla vetrina di un fruttivendolo non-stop, inspiegabilmente chiuso, ho visto, invece, un cartello più preciso: "chiuso per preghiera apro alle 15:00" .
Basta saperlo.

Telefonum sum



Dopo molti anni di onorato servizio ed un lungo declino senile, abbiamo deciso di sostituire il telefono principale senza fili che ospita la segreteria telefonica. Ultimamente si spegneva a suo piacere. Benché la sostituzione comportasse la perdita della rubrica interna, costruita di malavoglia con una procedura astrusa e disagevole nel corso di anni, la decisione è stata presa senza dubbiosi tentennamenti.
A detta del rivenditore, il nuovo aggeggio è dotato di un software più umano del precedente, ma se si vuole personalizzarlo, richiede pur sempre un po' di pazienza. La segreteria telefonica standard, ad esempio, sembra la prima cosa da modificare. Ha l'aria di essere pensata più per un negozio che per un privato cittadino, giustamente orgoglioso della sua libertà di movimento.
"Siamo momentaneamente assenti... richiameremo appena possibile...", ma quando mai! Da casa mia vado e vengo quando mi pare e sto fuori casa quanto mi piace. Ci mancherebbe che dovessi giustificarmi con uno sconosciuto che ha letto il mio numero sull'elenco telefonico, non mi ha mai neppure incontrato per la strada e non si vergogna di disturbarmi per sapere se ci sono appartamenti in vendita nel mio palazzo.
Oltretutto, ho sempre un telefonino in tasca che serve egregiamente ai pochi parenti e amici che ne conoscono il numero e mi sono sempre graditi.
Insomma la prima mossa da fare era registrare un nuovo testo per la segreteria telefonica. Uno provvisorio, magari, in attesa di ispirazione. Uno dei più spettacolari dei tempi andati fu quello registrato depo la elezione di papa Wojtyla. Da un 33 giri avevo preso le campane di San Pietro per aprire e chiudere sfumando il messaggio. Il parlato che stava in mezzo allo scampanio festoso lo avevo ottenuto imitando il polacco del papa. Per ottenere l'effetto eco di piazza San Pietro avevo parlato dentro la pentola a pressione più grande, ma era il testo che suscitava le risate maggiori. Più o meno, diceva: "Fraaaateeeelo, soreeela, lascia un mesaggggio, Lui ti ascolta!".
Il solo che registrò non una semplice risata sonora, ma una risposta all'altezza, fu Carletto: un moroso di quei tempi di mia figlia. Cominciava così: "Sono San Carlo..."
Quando mia figlia andò a studiare in America e, all'epoca, le telefonate intercontinentali costavano un occhio, dovetti sostituirlo con un nudo testo super-breve da nove secondi, scialbissimo.

homer

In epoche più recenti avevo adottato un testo breve che scoraggiava blandamente l'incauto telefonista dal lasciare messaggi: "Risponde la segreteria telefonica di Candeli. SE LO DESIDERA, può lasciare un messaggio BREVE, dopo il bip"
Spacchettato il telefono nuovo, fu proprio questo il messaggio che, in piedi, in cucina tentai di registrare. Niente da fare. La segreteria non funzionava. Rimandai il tentativo di venire a capo del mal funzionamento e lasciai, momentaneamente, campo libero alla vocetta melensa pre-registrata: "Siamo momenteneamente assenti, la preghiamo..."
Quando ricominciai per la seconda volta la procedura di registrazione di un messaggio personale tutto funzionò bene, ma il primo testo di prova che uscì dalla mia voce fu: "Sono (lunga pausa) fritto" seguito dalla risata di mia moglie che stava distrattamente seguendo le operazioni. Con il nuovo testo la segreteria funzionava perfettamente, perché cambiarlo, allora? Lo abbiamo tenuto per un paio di mesi, con il brillante risultato che nessuno ha lasciato messaggi articolati e comprensibili; solo borbottii sorpresi, finché una mattina al risveglio ho pensato di sostituirlo con uno nuovo che tuttora risponde in nostra assenza.
E' questo: "Vale. Telefonum sum, quis sis, quod vis?" che in romanesco più recente suonerebbe: "Sarve, so' er telefono. Chissei? Chevvoi?".
Vedremo se ci sarà qualcuno che registrerà un messaggio a tono, come il San Carlo di tanti anni fa.

30 settembre 2014

Sincronizzazione



Pare che al Quirinale ci siano più di mille orologi che un orologiaio a tempo pieno mantiene carichi e "in forma", non occupandosi di niente altro. A casa mia la situazione è più semplice perché gli orologi meccanici sono finiti tutti in un cassetto, eccetto quello a pendolo di mio nonno che continuo a caricare e regolare settimanalmente, ma in modo rilassato, senza bisogno di particolari attenzioni o cure. 
Quello che guardo più spesso di giorno è lo swatch da polso che non tolgo mai, neppure quando faccio un bagno nell'acqua salata del mare o in quella calda e spumosa della vasca da bagno. 
Di notte, invece, guardo l'ora a sinistra su di un display a cifre rosse appollaiato su di una pila di libri oppure a destra sulle grandi cifre proiettate sul muro da un Oregon radio-controllato che fornisce anche la temperatura ambiente. In caso di black-out si spengono entrambi, ma quando torna la luce solo quest'ultimo riprende a funzionare ricordando l'ora giusta, mentre il primo si riaccende, ma ha dimenticato l'ora e bisogna imprecare un po' e schiacciare molte volte scomodi bottoncini per rimetterlo al passo con l'altro: il sapientone.

castello di Carpi

Dopo un black-out va riaggiustato anche l'orologio del forno a microonde, ma questo dispone di comandi a rotazione, comodi quasi quanto la corona di un vecchio orologio meccanico. Il pendolo del nonno, da vecchio saggio, non si scompone per una sciocchezza come l'interruzione della corrente elettrica, diavoleria del tutto assente nella sua prima casa, quando era giovane. Ci vuol altro, per fermarlo. 
Della stessa tempra, insensibile ai capricci della rete elettrica, è l'ultimo arrivato: l'orologio del telefonino, a patto di alimentarlo ogni notte con una flebo che lo ricarichi e gli dia lo sprint per affrontare un intero giorno di veglia e di lavoro.
L'ho regolato in modo che suoni ad ogni ora, come il pendolo. Allo scoccar dell'ora si fa vivo con un bel campanello squillante che coglie di sorpresa gl'ignari presenti. Se mi trovo in un luogo pubblico dove la presenza di un vecchio orologio da muro è poco più probabile di quella di un asino parlante è spassoso vedere gli sguardi dei presenti scannerizzare le pareti alla ricerca di un orologio da muro e, alla fine, desistere delusi dalla ricerca.
Prima d'istallare la campanella oraria con il suo singolo suono squillante, avevo attivato una divertente applicazione che riproduceva il carillon più celebre del mondo: quello della torre di Elisabetta nel palazzo di Westminster, sede del parlamento inglese, comunemente detto Big Ben. Sentire uscire dal taschino l'intera tiritera del carillon di Westminter ad ogni ora del giorno, però, era troppo perfino per me: il trisnipote del costruttore dell'orologio ottocentesco della torre del castello di Carpi che vedi nella foto.

Il risveglio



Il momento del risveglio può essere lungo e piacevole, quando i decenni di vita trascorsi sono parecchi e non ci si deve più alzare in fretta per andare a scuola o al lavoro. Non è solo un limbo fra il sonno e la veglia, ma anche fra il presente e il passato. Piuttosto latitante è, invece, il futuro, comprensibilmente.
Quali siano gli stimoli che durante il risveglio richiamano eventi, circostanze, abitudini del passato è difficile da dire, quanto lo è immaginare la causa dei sogni, sempreché non si creda alle premonizioni che fecero la fortuna di Giuseppe presso il Faraone o alle interpretazioni di Freud e compagni, in tempi moderni.
Personalmente non ho temi ricorrenti che si ripetono ossessivamente, come nel film Marnie di Alfred Hitchcok, ma qualche atmosfera preferita, che si riaffaccia alla memoria durante il risveglio più spesso di altre, sicuramente c'è.
Questa mattina, ad esempio, ripensavo ai viaggi in treno del primo giorno di vacanza, per raggiungere da Roma -la città della scuola- la vecchia grande casa di famiglia a Carpi -la casa delle vacanze-. Là mi attendeva un'accoglienza affettuosa, ma non oppressiva, la bicicletta, il tavolo da ping-pong in cortile e una banda di compagni con cui giocare in strada o nelle vicine campagne.
"Il viaggio verso la libertà" durava cinque ore e mezza o sei e si svolgeva su di un elettrotreno con vagoni a scompartimenti chiusi da Roma a Modena: il cosiddetto direttissimo Roma-Milano e, dopo una sosta a Modena, terminava con un breve percorso di mezz'ora fino a Carpi.

locomotiva

Normalmente, questo ultimo tratto era servito da una "littorina": una modestissima motrice diesel dal colore deprimente e con un anacronistico nomignolo fascista. Qualche volta però, imprevedibilmente, i pochi vagoni con sedili di legno del treno per Carpi-Suzzara-Mantova erano trascinati da un'autentica locomotiva nera a vapore: una meraviglia agli occhi di un bambino come me.
Non la si poteva leccare con profitto e, pertanto, non appagava il gusto, ma accontentava tutti gli altri sensi. Era bellissima da vedere, sbuffava fuoco e fiamme come un drago, faceva un rumore cadenzato e ritmico come un grosso cuore di mamma e sprigionava un elettrizzante profumo di fumo, fuliggine e vapore, mescolati sapientemente come nessun "naso" di Grasse saprebbe inventare.
Credo che la nera vaporiera sia una delle componenti essenziali del piacevole, ricorrente risveglio intitolato "Primo giorno di vacanza"

25 settembre 2014

A piedi in mezzo a strada Maggiore



A distanza di mesi, dopo le vacanze estive, ho ripercorso Strada maggiore, il tratto della via Emilia che collega le due torri di Bologna a porta Maggiore. Ho camminato a piedi proprio in mezzo alla strada, temporaneamente pedonale per i lavori di pavimentazione non ancora completati, come previsto ed annunciato.
E' stato uno spasso passeggiare sulla bella pavimentazione ancora intatta, nel confortevole silenzio dovuto al traffico assente, fra pochi pedoni e ciclisti. Ogni tanto, ci sono simpatiche isole di tavolini da caffè, giustamente allestiti in mezzo alla strada, come si può vedere dalle foto che ho scattato oggi pomeriggio.
Sarebbe bello che la pedonalizzazione diventasse permanente, ci guadagneremmo tutti in pace e salute.
E gli autobus? mi si dirà. Se vogliono passare di lì, imparino a volare e se non sono capaci, cambino strada.



Bologna - strada Maggiore

24 settembre 2014

Da piazza a piazzale



Con una certa ingenua sorpresa, mi sono ritrovato, anche oggi, piazza maggiore ingombra e abbruttita da un enorme struttura in tubi di ferro (chiamiamolo palco) e da due torri pubblicitarie che vanno ad aggiungersi allo sconcio permanente del palazzo del podestà ricoperto da cartelloni pubblicitari.
A memoria mia non si era mai raggiunto un livello di sfacciataggine così arrogante nel degradare la piazza più simbolica di Bologna al livello di un volgare piazzale di estrema periferia, buono solo per affissioni giganti.
Anche di questo degrado dobbiamo ringraziare la lungimirante amministrazione comunale.


Bologna - piazzale maggiore

22 settembre 2014

Motu proprio


  • Motu proprio è sempre meglio, ti pare?
  • Piuttosto che tirato per il collo con una catena, vuoi dire?
  • Sì, appunto.
  • E questa bella pensata, come ti è venuta in mente... e non mi dire motu proprio.
  • Eppure, è così. Non c'è nessun'altra spiegazione. Non ti capita mai che ti venga in mente un'idea, un pensiero che non ha nessuna relazione con quello che stai facendo?
  • Sì, certo, ma secondo me è solo apparenza. Non ne cerchiamo abbastanza a fondo l'origine. Ci accontentiamo di credere che sia un pensiero sbucato dal nulla, per pigrizia.
schiavi

  • Forse hai ragione. Pochi giorni fa, ho visto arrestare da tre vigili un vecchio negro con la barba bianca. Mentre passavo per il mercato gli stavano chiedendo i documenti, poi la faccenda è rapidamente degenerata e lo hanno immobilizzato con le manette. Mentre mi allontanavo rapidamente, turbato e disgustato, il vecchio faceva degli urli da animale braccato, da schiavo incatenato, insomma da chi subisce una costrizione, non certo da chi sta agendo motu proprio.
  • Lo vedi? La ragione c'era di questo tuo pensiero slegato dalla realtà contingente. Una ragione remota e difficile da scoprire, ma c'era.
  • Eh sì, caromio. Hai proprio ragione. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto va in malora, come diceva Lavoisier quando parlava liberamente tra amici.

18 settembre 2014

Ladri di biciclette

Dal dopoguerra ad oggi il nostro paese è cambiato non poco e sembrerebbe che le vicende raccontate da "Ladri di biciclette", il capolavoro del '48 di Vittorio De Sica, fossero del tutto anacronistiche e, per molti aspetti, lo sono, ma le biciclette continuano ad essere rubate, seppure da personaggi diversi dal padre di famiglia che, senza bicicletta, perderebbe il solo prezioso lavoro che è riuscito a trovare.
I soli emiliani che non hanno subito uno o più furti di bicicletta sono quei pochi che non ne hanno mai posseduta una.
Io, nel mio piccolo, sono a quota cinque e non sei perché durante l'ultimo tentativo d'nvolare la mia bici dal giardino della casa al mare hanno forato la gomma posteriore sulla siepe metallica, come è stato facile ricostruire. Nella stessa occasione hanno, invece, rubato quella di mia moglie, ennesimo rimpiazzo di precedenti bici rubate nel corso degli anni.

bici senza sella

Nel rientrare a casa a piedi, oggi ho fotograato questa gloriosa Atala assicurata con due solide catene che immobilizzano le due ruote collegandole al telaio e incatenano l'intera bici ad un palo di ferro, posto all'angolo fra via Santo Stefano e vicolo Pusterla, nel pieno centro frequentatissimo di Bologna.
La sella non l'aveva potuta legare, il prudentissimo possessore di una vecchia comunissima bici da uomo ... e gliel'hanno rubata.
Se ci fosse una legge del contrabbasso, molto più accomodante del contrappasso dantesco, il ladro, scivolando dal maltolto, dovrebbe scheggiarsi dolorosamente un incisivo e finire in una bella pzzanghera fangosa.
Da parte del vasto popolo dei biciderubati, glielo auguro di cuore.

17 settembre 2014

L'asino di Esopo

Anche se dell'evento difficilmente parleranno le storie patrie, oggi ho preparato "l'aglione" per la stagione invernale che trascorreremo nella casa di Bologna. C'è chi lo chiama in altri modi, ma a casa mia si è sempre definito aglione quella profumata mistura di sale grosso, aglio e rosmarino fresco con la quale si insaporiscono le carni arrosto o alla griglia. Di solito, la quantità che preparo in questa stagione dura finché non è ora di cambiar casa e andare al mare dove conviene prepararne un barattolino con il rosmarino del giardino, bello fresco e pimpante, che basti fino alla stagione dell'uva, quando si torna in città.
Nel prepararlo è meglio chiudersi in cucina, se non si vuole inondare la casa intera di un appetitoso, ma non sempre opportuno, aroma di arrostino. L'operazione non richiede alcuna abilità e anche i tempi di preparazione si sono ridotti moltissimo da quando sono comparsi quei frullatorini con il recipiente trasparente che mostra la brutta fine che fanno, in un attimo, i pezzettini di aglio e le foglioline di rosmarino riducendosi in una poltiglia verdina salata e profumatissima.

asino di Esopo

Mentre asciugavo il barattolo del sale, completamente svuotato e facilmente lavato, mi è tornata in mente la favola di Esopo dell'asino che cade accidentalmente nel fiume mentre trasporta un pesante carico di sale e riemerge sollevato dalle acque, ma annega travolto dalla corrente quando, credendo di alleggerirsi, si lascia cadere apposta, mentre trasporta un carico di spugne anzichè di sale.
Esopo conclude:"Allo stesso modo gli uomini non si accorgono che spesso sono le loro stesse azioni a rovinarli."
Fra me e sè, invece, pensavo che di asini che fanno i furbi ne ho incontrati dozzine, ma non ne ho mai visto annegare nessuno.


17 giugno 2014

Strada Maggiore

Stanno sbucciando e ripavimentando Strada Maggiore: il tratto della via Emilia bolognese dalle Due Torri a Porta Maggiore e per farlo impiegheranno circa sei mesi. “Se otto o_oore, vi sembran poche, venite voi a laaavorar…” dice la celebre canzone. 
Ho dato una controllatina, per sicurezza, e ho trovato conferma alla mia incerta memoria: Marco Emilio Lepido, senza ruspe,  impiegò due anni (189-187 a.e.v) a completare le 176 miglia romane che andavano e vanno da Piacenza fino al porto militare di Rimini. La via Emilia è ancora lì, più o meno sempre la stessa, e continua ad essere percorsa avanti e indietro per tutta la vita da noi emiliano-romagnoli nati negli ultimi milleduecento anni e chissà da quante altre generazioni ancora, in futuro.

Problema:
Il tratto di strada che ora stanno rifacendo in sei mesi di tempo e con abbondanza di bulldozers a disposizione è circa mezzo miglio romano; così stando le cose, quanti anni avrebbe impiegato Marco Emilio Lepido a completare le 176 miglia, se fosse stato fornito delle moderne attrezzature?
 
Strada Maggiore Bologna

Gli omenoni di Palazzo Davia Bargellini guardano sconsolati la mesta strada disfatta
e senza passaggio di pedoni, proprio adesso che stavano per fiorire décolleté  e minigonne.

16 giugno 2014

Ortensie celesti

Perché le volessero proprio azzurre e non rosa, come si ostinavano a fiorire spontaneamente non mi era chiaro. Parlo delle immancabili ortensie che si scatenavano in rigogliose fioriture nei giardini delle nonne dei miei amici, all’inizio delle vacanze scolastiche estive. A me non piacevano un gran che.

Che senso ha un fiore senza profumo, direbbe Alice dopo aver abbandonato sul prato un libro senza figure?

Spesso negli stessi giardini e alla stessa stagione c’erano meravigliose siepi di gelsomini, bianche di fiori profumatissimi, o spalliere di caprifoglio meno appariscenti e altrettanto profumate, ma “le nonne” sembravano prestare attenzione solo ai trucchi caserecci per fare diventare azzurre le ortensie che, in qualche caso, effettivamente apparivano, con gentile condiscendenza, accanto alle riottose sorelle rosa.
Alla base ci deve essere il solito istinto perverso che, cent’anni fa, prima dell’avvento delle tinture  per capelli libere&gratuite, facevano fischiare per la strada i meridionali al passaggio di una bionda e costringevano le giovani contadine a infarinarsi la faccia abbronzata prima di andare a ballare per sembrare bianche come “le signore”.
Per la stessa ragione, oggi, le biondissime signore si abbronzano faticosamente estate e inverno producendo quell’effetto straniante di sano immaginario o addirittura di negativo fotografico che lascia perplessi i dobermann di passaggio, così tradizionalisti nel loro rigore morale.

ortensie

Le rigogliose ortensie della foto scattata ieri sono in un giardino privato
di via Marella nel percorso fra casa mia e i giardini Margherita di Bologna.

06 giugno 2014

Bassano del Grappa

Ieri siamo andati a Bassano. La ragione della scelta di questa meta per una gita di un giorno non la so e non ho chiesto, non tanto per discrezione, ma perché non m’interessa molto. Come dice il saggio: “Ci sarà una buona ragione”.
A memoria mia, molto incerta, ci ero stato una sola volta da bambino al ritorno da una villeggiatura con mia zia I. All’epoca, andavamo un paio di settimane d’agosto con il CAI di Carpi in una località alpina diversa ogni anno. Il club affittava un intero albergo e i soci potevano andarci durante l’estate per un paio di settimane o più in un’atmosfera simpatica e amichevole. Quando passammo da Bassano, al ritorno dalla villeggiatura, dovevamo essere stati in Trentino, dove di preciso non lo so, ma credo che sia stata la volta in cui giungemmo a Venezia, con il pullman che ci riportava a casa. Era il tramonto di una bella giornata estiva e l’impressione della laguna che ne ricavai fu così forte che la conservo ancora a distanza di una vita. A due ore di macchina o di treno da casa, Venezia è una meta abituale e abbastanza frequente; ci sono tornato mille volte per spasso e anche per lavoro, ma quella prima inattesa visione al tramonto resta indimenticabile, e forse per questo non ricordo nulla della contemporanea visita a Bassano. Neppure il vecchio ponte in legno dove “ci darem la mano ed un bacin d’amor”. In effetti è un manufatto abbastanza originale per aspirare alla categoria dell’”indimenticabile”, ma così non è stato, per me. Pare che dalla versione disegnata dal Palladio ce ne siano state diverse successive, dovute alle ricorrenti piene del fiume Brenta che in momenti di particolare euforia lo travolge o lo danneggia gravemente.
Il ripristino più recente e tuttora in piedi è quello del 1968 dopo i danni causati dalla piena del ’66, quella che tutti ricordiamo per l’alluvione dell’Arno a Firenze. Ieri era infiocchettato al massimo con bandiere italiane appese ai travi e vasi di gerani rossi sul pavimento di pietra.
Il resto della cittadina ha un’aria trascurata, molte vecchie case e palazzetti del centro storico sono in semi abbandono. Disabitati i piani superiori, tutte le imposte chiuse, un solo negozio al pianterreno con paccottiglia per turisti e… grappa. Non c’è nulla che si salvi dalla contaminazione con il distillato prediletto dai bassanesi. Qualunque manufatto commestibile è, immancabilmente, “alla grappa”.
L’umore era buono, la giornata bella, non troppo calda, le torme di vecchie turiste infestanti con zainetto e doppi bastoni ultraleggeri non troppo numerose e alle sette di sera eravamo già a casa in tempo per cenare all’ora giusta. Penso che sia stata l’ultima visita a Bassano di questa vita e neppure questa si rivelerà indimenticabile, presumo.
Ecco alcune mie foto scattate ieri a Bassano.

02 giugno 2014

Toc toc...



Toc toc..

Palazzo Montanari Bologna

Maniglioni a forma di diavolaccio draghifago del portone di palazzo Aldrovandi Montanari
in via Galliera 8 - Bologna

 

A sinistra il profilo di uno dei due maniglioni di palazzo Montanari
A destra il maniglione unico con sirene e delfini di palazzo Felicini Fibbia
in via Galliera 14 - Bologna


12 maggio 2014

Pentole e coperchi



  • Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”. L’hai mai sentita questa?
  • Sì, di solito piazzata al termine di una storia in cui una soperchieria, alla fine, veniva a galla ed il malandrino che credeva di averla fatta franca, veniva scoperto.
  • Appunto, il diavolo-malandrino non aveva saputo tenere coperta la sua malefatta perché non aveva saputo fare il coperchio alla pentola che avrebbe dovuto tenerla nascosta.
  • E allora?
  • Mi domandavo chi faceva i coperchi. Il diavolo no, come abbiamo saputo, ma non conosco nessun detto popolare che colmi la lacuna.
  • Se in fretta in fretta vuoi far l’acqua bollire, l’angelo del coperchio devi fare venire.
  • Mai sentita. Quindi sarebbero gli angeli gli artefici e distributori dei coperchi, secondo te?
  • Per forza: demoni pentolari, angeli coperchiari. Rispettare le gerarchie e le funzioni in cielo e in terra. Gli uomini di buona volontà, il sudore della fronte, prima che il gallo canti tre volte ecc. Vorrai mica scherzare?
  • Sarà, ma per non sapere né leggere né scrivere, io uso un bollitore elettrico monoblocco: niente pentola né coperchio…
  • … e ci scommetto che non hai nemmeno una gatta che va tanto al lardo…
  • … neanche il lardo. Era buono, però, con il suo strato di sale sopra, ricordi?
  • Altroché, in qualche trattoria lo servono ancora con le crescentine, ma è diventato una raffinatezza.
  • Come le pentole a pressione con il coperchio incorporato a valvole che nessun diavolo potrà mai scordare.
  • Non c’è più religione.
Inferno

L'immagine è un particolare del dipinto del 1435 "Paradiso e inferno" del pittore bolognese Maestro dell'Avicenna.
Si trova nella Pinacoteca nazionale di Bologna

07 maggio 2014

Eremo di Ronzano




Tornando a casa dopo aver pranzo fuori in una gradevole giornata di sole, abbiamo deciso di andare a cercare Santa Apollonia di Mezzaratta lungo la ripida salita dell’Osservanza, celebre, quando ero ragazzo, per provare le capacità arrampicatrici delle moto.
“Va su per l’Osservanza in seconda, senza tirarle il collo” era un buon voto per una  moto leggera di allora.
A metà della salita, mezza (t)ratta è questo che significa, abbiamo guardato a destra e a sinistra, ma niente da fare. Non l’abbiamo trovata. Ci riproveremo per vedere cosa è rimasto di uno dei tesori del gotico bolognese dopo lo stacco degli affreschi di Vitale da Bologna e Simone dei Crocefissi: fra i maggiori maestri del trecento bolognese. Quanto rimane degli affreschi e delle sinopie dopo lo stacco è ora ospitato molto degnamente nella pinacoteca nazionale di Bologna dove è stato riposizionato con diligenza in un ambiente che riproduce fedelmente quello originale di Mezzaratta. Purtroppo gli affreschi sono molto rovinati e in larga misura perduti. Quanto rimane è sufficiente per far rimpiangere amaramente la rovina in cui è caduto questo capolavoro. Sull’argomento ritornerò più ampiamente e in modo più documentato.
Per consolarci del mancato ritrovamento, ci siamo tuffati alla ricerca dell’eremo di Ronzàno attraverso le strette stradine dei colli bolognesi, meno battute, per fortuna, di quelle fiorentine, ma non meno gradevoli.

Eremo di Ronzano

Frequentato fin dall’età del ferro e poi da Etruschi e Romani, ora è un piccolo complesso abitato da una sparuta comunità religiosa cattolica: i servi di Maria. In una bella giornata di primavera è un paradiso silenzioso e profumato: imponenti querce secolari, castagni, allori, oleandri, pitosfori in fiore, monumentali cipressi mediterranei in duplice filare e, dovunque, morbidi declivi di prati fioriti di margheritine. Fin troppo!
In compenso la chiesa è una struttura modesta con affreschi parietali (vedi foto sopra) in gran parte perduti e di qualità non superba, giudicando da quanto è rimasto. Il portone era spalancato per fare entrare l’aria tiepida e il sole e sconfiggere l’umidità, subdolo nemico di pietre e dipinti.
Nessun umano in vista: ottimo!
Riprendendo l’auto, siamo riusciti a rientrare a casa restando sempre in quota su deserte strade collinari, evitando il traffico cittadino, in agguato poco sotto.

05 maggio 2014

Pilgrim



Il problema della notte successiva ad un film che attribuisce un ruolo importante ad un animale e ricordarsene il nome. Naturalmente non sto parlando di Lassie o di Rex: i cani che compaiono addirittura nel titolo, ma quello di cavalli, tori ecc. importanti, ma non troppo.
Per qualche strano meccanismo, al risveglio del mattino dopo il film, comincio a rimuginare per cercare di riconquistare il nome del maledetto animale. E’ il caso di Corinto, il toro del film di Mazzacurati che non sono mai riuscito a vedere per intero perché troppo ansiogeno per i miei gusti, o di Pilgrim il cavallo sopravvissuto a stento ad un incontro troppo ravvicinato con un TIR.


Redford, regista, produttore e attore protagonista di “L’uomo che sussurava ai cavalli”, che ho rivisto per la prima volta dall’inizio ieri sera, sussurra alcune volte nel corso della prolissa storia il nome dello sfortunato equino, ma vattelo a ricordare il mattino dopo, al risveglio o, anche più comodamente, dopo caffè e bagno. Niente da fare.
Per fortuna c’è Wikipedia, “sia benedetta la sua mano”, che a differenza di Mymovies, non si sbilancia su giudizi critici, ma è servizievolmente precisa nel raccontare la trama, compresi i nomi&cognomi di eventuali bestioni presenti.
Come faremmo a ritrovare la pace mentale senza “Wiki”, per gli amici?

02 maggio 2014

Tortellini parrocchiali

Il primo Maggio, a distanza di circa sei anni, siamo tornati a Castelvetro e, questa volta, ci siamo fermati a mangiare in piazza dove hanno aperto un caffè-ristorante proprio di fianco alla chiesa del borgo alto che io vedevo quotidianamente a inizio carriera quando ricevetti l'incarico annuale d'insegnamento alle scuole medie di quel gradevole paesino pedemontano modenese. 
Ho già parlato di quella simpatica esperienza in un mio precedente blog e non voglio ripetermi. Se vuoi, puoi leggerlo qua
La giornata era bella e i pochi tavoli all’aperto si sono presto riempiti di gitanti che avevano raggiunto l’isola pedonale salendo a piedi in abiti primaverili o mascherati da ciclisti della domenica su costose biciclette da montagna.
Dopopranzo, visitate le toilettes pretenziose del bar “L’eglise” (sic) in stile giovanilistico-barocco, siamo entrati anche nella chiesa pseudo-gotica di fine ottocento, caratterizzata da enormi colonne, del tutto sproporzionate al compito di sorreggere gli archi acuti delle tre navate, di normali proporzioni paesane.
Tuttavia, la cosa più notevole dell’interno non sono le colonne gigantesche, ma il manifesto affisso bene in vista vicino al portone centrale che aiuta il visitatore a calarsi nell’autentica atmosfera del luogo.

Clicca qui per vedere alcune mie foto di Castelvetro e dintorni.



30 aprile 2014

Trame celesti

Con segni e disegni trasformava i sogni in trasparenti trame celesti

Sogno di S.Romualdo

Pinacoteca nazionale di Bologna
"Sogno di San Romualdo" di Pseudo Jacopino
liberamente adattato al testo
Clicca la foto per vedere l'originale

07 aprile 2014

Affreschi nella Pinacoteca Nazionale di Bologna



Fra i tanti impareggiabili vantaggi della vecchiaia c'è anche quella di entrare gratuitamente nei musei nazionali; tra questi c'è anche la pinacoteca nazionale di Bologna che si trova in zona universitaria ed è molto comoda da raggiungere e frequentare.
Ieri, subito dopo pranzo, ci siamo tornati per rivedere solo alcune delle cose più amate e anche per fotografare qualche pezzo fra i più gradevoli e meno rappresentati in rete; in particolare alcuni affreschi staccati da palazzi bolognesi e la bella collezione di tavole trecentesche.
Le riprese fotografiche si sono svolte senza difficoltà o disturbo alcuno, infatti si può liberamente fotografare senza essere disturbati dai custodi ed anche la presenza del pubblico dei visitatori, ieri, non era minimamente fastidiosa.

affresco

Dopo cena, ho ripulito e inviato sul mio spazio di Flickr gli affreschi di Niccolò dell’Abate (Modena 1499 – Parigi 1571) staccati da palazzo Torfanini e raffiguranti scene tratte dal VII e da X canto dell’Orlando furioso di Ariosto. Lo stato di conservazione non è certo perfetto, tuttavia ci sono alcuni frammenti relativi agli episodi di Ruggero e Alcina molto gradevoli che ho inviato in rete nel loro insieme ed anche ingrandendo alcuni dei particolari più suggestivi.
Cliccando qui o sulla foto li potrai vedere fin d’ora; nei prossimi giorni il set d’immagini si arricchirà con quanto sarò riuscito a ripulire e impostare.


05 aprile 2014

Mantra



  • Mantra, ti piace come parola?
  • È corta, con la giusta proporzione di vocali, ben intervallate. Non ha aspirate né vocali bastarde che costringano la bocca a movimenti strani. Direi che va bene, insomma. Hai intenzione di usarla spesso?
  • Ci stavo pensando, ma non ho ancora deciso; non vorrei fare il mantra più lungo della gamba.
  • E come pensavi di adoperarla? così nuda e cruda, invece del solito "cazzo", ormai sulla bocca di tutti, o a sorpresa all’interno di un discorso lungo, come un gheriglio di noce in mezzo all’insalata?
  • All’inizio, potrei provare ad usarla in pubblico e poi decidere in base alle reazioni. Un approccio graduale: in mantra stat virus.
  • Virtus, vorrai dire.
  • Sarebbe meglio, ma mi sono adattato: tanto se dico virtus il mio correttore automatico me lo sostituisce a tradimento con virus. O non sa una mantra di latino o ha la vocazione dell’untore. In tutti i modi, meglio non sottilizzare, ti sembra?
  • Naturale. Ma, tornando a noi, vorresti cominciare piano, piano, un mantra alla volta; fammi un esempio, però, per farmi capire meglio.
  • Be’ potrei entrare in un bar e dire, così a mezza voce mentre aspetto il caffè, "Mantra, che bel freschetto che è venuto, oggi" e vedere che mantra fanno.
  • Ah, ho capito. Se ti rispondono senza batter mantra che invece ieri si stava meglio, potresti azzardare un: "Proprio, c’era un sole della mantra e neanche un filo di nebbia."
  • Ecco, poi potrei ordinare un sandwich al prosciutto e formaggio, senza mantra.
  • Questo è già più azzardoso: metti che li abbiano già preparati tutti con la mantra spalmata d’ufficio sul pane, come faresti? Ti toccherebbe restare  senza panino.
  • Non c’è mantra senza spine, caro mio. Lo mangerei così com’è, tanto più che non mi dispiace la mantra con il prosciutto. Naturalmente dev’essere fresca di giornata.
  • Comunque sarebbe un rischio minimo, perché a quell’ora è quasi impossibile che abbiano finito tutti i panini senza mantra, ti sembra?
  • Dico anch’io. Che mantra di bar sarebbe; anche se è vero che oggi incontra molto, perfino con il caviale ghiacciato, scommetto. A me non piace, però, ha quella puzza di pesce…
  • Chi, la mantra?
  • No, il caviale. Sulla mantra niente da dire, specialmente quella giapponese cruda.
  • Paese che vai mantra che trovi. Altroché la manna: ha sempre avuto un giro d’affari ristretto ed è sparita dal mercato fin dai tempi biblici. Invece la mantra… ti rendi conto che fino a qualche tempo fa non sapevamo cosa farcene e adesso sembra che non si possa farne a meno neanche un minuto. Cosa vuol dire l’abitudine.
  • Verissimo, non c’è niente che induca di più all’assuefazione dell’abitudine. Come per i telefonini e più piccoli sono, più la gente si accanisce a volerli, arriveranno a inserirli nell’otturazione di un dente del giudizio, così almeno serviranno a qualche cosa, ‘sti dinosauri dentari.
  • Hai sentito che adesso li fanno di mantra lucida, più duri dei coltelli di ceramica giapponesi?
  • I telefonini?
  • No i denti.
  • Ah, esiste anche il tipo lucido, credevo che fosso solo opaca o, al massimo, setosa.
  • Sì, fino a qualche tempo fa era così, ma ho sentito che c’è già un tipo sperimentale trasparente. Mantra purissima, allo stato cristallino, senza polimeri aggiunti. Pensano di usarla per protesi oculari attive. Conterrebbe una rete neuronale completa in grado di mandare direttamente degl’impulsi fotoelettrici belli chiari al nervo ottico e dopo è fatta: a sviluppare la foto ci pensa il cervello in un lampo.
  • Fantastico, così gli orbi potranno mettere via i bastoncini bianchi e farsi ammazzare anche loro nel traffico come tutti noi altri cristiani.
  • La mantra è uguale per tutti, se dio vuole.
  • Nel campo della fototrasmissione avevo sentito solo parlare di applicazioni da discoteca. Da quello che leggevo, sembra che, all’ora giusta polarizzino la mantra in sala perché emetta radiazioni ad una frequenza che fa venir voglia ai ragazzi di andare a casa.
  • Grande! Ma senza addormentarli, immagino.
  • Si capisce, sono già abbastanza fuori per loro conto. È un’applicazione ecologica, reversibile e a costo contenibile o sostenibile, secondo i casi. Sarebbe come il caldo che ti fa venir voglia di fare la doccia: alla fine sei più fresco, più pulito e più contento di prima. Mantra benefica, senza radicali liberi, senza radiazioni ad alta frequenza… niente di niente. Li chiamano dissuasori di stanchezza. Hai mai sentito parlarne?
  • Mai.
  • Be’, se ti capita, adesso sai che con tutto il nome pomposo che gli hanno affibbiato, non sono altro che comune mantra polarizzata.
  • Di mantra in meglio, allora.
  • Tu l’hai detto, finché c’è mantra c’è speranza.


03 aprile 2014

Multe salate a chi paga il biglietto



Camminare  mi piace, mi è sempre piaciuto. Anche correre in campagna mi piaceva, ma per questa abitudine, più saltuaria e impegnativa, è definitivamente passata la stagione. Soltanto durante l’estate cammino poco. D’estate vado in bici, solo in bici potrei dire. Quando arriva il caldo, o una delle nipotine che vivono a Parigi, ci trasferiamo nella nostra casa in un piccolo paese sulla riva dell’Adriatico, il mare nostrissimum, dove la bicicletta è il solo mezzo di trasporto sensato e piacevole. Il resto dell’anno, se posso, mi muovo a piedi, sia quando sono a Bologna, mia residenza preferita, sia quando sono a Parigi, dove trascorro qualche tempo per stare in affettuosa compagnia delle mie nipotine e dei loro genitori. I mezzi di trasporto pubblici li uso poco, molto poco, ma quando mi servono non posso evitare di notare la grande differenza fra quelli bolognesi e quelli parigini.
A Parigi sugli autobus si sale solo dalla porta davanti, uno alla volta e si esibisce all’autista il proprio abbonamento o si compra da lui il biglietto. Tu gli dai le monetine e lui ti da un biglietto a validità oraria e il resto, se occorre. Nessuno sale da altre porte e senza esibire o comprare il biglietto che occorre per usufruire di un servizio che è pubblico, ma non gratuito.
A Bologna in teoria le cose sono molto simili. Si deve salire solo dalle porte abilitate e si deve timbrare un tesserino da dieci corse o comprare un biglietto orario singolo da un’apposita macchinetta senza alcun coinvolgimento dell’autista che non deve controllare neppure gli abbonamenti.  In teoria, quindi, la sola differenza sta nell’aver sostituito l’autista, nella funzione di timbrare o vendere il biglietto, con un piccolo marchingegno, senza alcuna capacità di  verifica o controllo sulla correttezza dei viaggiatori.
autobus

Il risultato è che moltissimi salgono (anche dalle porte abilitate alla sola discesa) e scendono senza pagare il biglietto, nella totale indifferenza dell’autista che, come il famoso viandante, “guarda e passa”.
Il fenomeno, incoraggiato dalla scarsissima probabilità di essere multati dai pochissimi controllori, è talmente vistoso da lasciare a bocca aperta i pochi volontari che, come me, si ostinano a comprare il biglietto, con un evidente spirito di trasgressione, quasi di ribellione sociale.
Forse un giorno non lontano l’amministrazione comunale e la società dei trasporti uniranno virtuosamente i loro sforzi e istituiranno un occhiuto corpo di polizia speciale, per sgominare i pochissimi ribaldi che si ostineranno a pagare il biglietto con sfrontato atto di ribellione civica.

01 aprile 2014

Siamo nati per camminare



Oggi pomeriggio, nel tornare a casa a piedi dalla biblioteca, ho notato tre nuovi “alberi” di compensato nell’atrio circolare. Si tratta di espositori a forma di alberello stilizzato pensati per accogliere bigliettini di carta, fissati con una puntina da disegno.
I foglietti sono “opere” di bambini delle materne o elementari che hanno disegnato se stessi mentre camminano sotto la scritta “Siamo nati per camminare” che è, appunto, il titolo di una campagna di sensibilizzazione alla buona abitudine di muoversi a piedi, quando è possibile, fin da bambini.


nati per camminare

Molte volte i genitori accompagnano a scuola i bambini in auto, senza una vera necessità, ma con conseguenze anche molto sgradevoli per che si trovi a dover passare per le strade “bloccate” da padri e madri che scaricano o caricano il loro pargoli che avrebbero molta più voglia di camminare o di correre che di salire sul gippone parentale per arrivare in apnea nel chiuso di casa loro.
Già da decenni, nonni-volontari assistono i bambini ad attraversare le strisce nelle strade vicine alle scuole elementari e forme di reciproca assistenza possono alleviare anche l’obbligo quotidiano di accompagnare e, soprattutto, di ritirare dalle scuole materne i bimbi più piccoli che non possono andare da soli.
Spesso è solo una questione di mentalità e di organizzazione e, quindi, ben vengano le campagne che aiutano a vincere la pigrizia mentale, molte volte il solo vero ostacolo ad assumere buone abitudini.


27 marzo 2014

Dacci oggi il nostro tubo quotidiano



  • Hai visto che stanno incartando con le impalcature di ferro il palazzo del Podestà?
  • Meno male, avevo paura che lasciassero la piazza libera senza neanche un lato coperto di tubi.
  • Hai ragione, non ci si può più fidare neanche dei preti: sono lì che smontano i pannelli che incartavano San Petronio.
    Che fretta avevano, poi? Quanti anni sono che li avevano montati? Tre o quattro in tutto. Al massimo cinque.
  • Sì, anche secondo me. Gli è venuta la smania di lasciar vedere la chiesa tutta bella pulita, portando via quei bei cartoni che ci avevano messo sopra.

  • Adesso dove li metteranno? Non li butteranno mica via. Come farà il vescovo senza uno spazio per fare pubblicità alle scarpe da ginnastica?
  • Ma, qualcosa s'inventerà, poveretto; vedrai che un sistema lo trova, con l'aiuto della provvidenza.
  • Speriamo, intanto il sindaco non è stato con le mani in mano. Appena è arrivata la bella stagione e la piazza si è riempita di turisti, lui cosa ti fa? Tacchete ti nasconde tutto il palazzo del Podestà sotto una giungla di tubi.
  • ... e, per sicurezza, ha anche chiuso l'acqua della fontana del Nettuno.
  • Questa non la sapevo. Niente zampilli da fotografare, allora?
  • No, niente di niente. E' circondata da turisti che fotografano a più non posso, ma la fontana è senz'acqua.
  • Non posso credere: fontana a secco e impalcature nuove in piazza? 
  • Va a vedere, deve essere una strategia del Comune troppo difficile da capire per noi vecchi bolognesi.
  • Dev'essere per forza così, altrimenti sarebbero troppo stupidi.

26 marzo 2014

Gli ungulati si riprendono i boschi



Gli ungulati, non i cingolati, si stanno riprendendo i nostri boschi, stando ad un paginone di La Repubblica di ieri. Meno male, potremmo dire, meglio cervi, camosci, daini e cinghiali che i carri armati. Non c’è dubbio. Perché poi abbiano messo insieme nello stesso mazzo cervi e cinghiali, timidissimi gli uni, sfrontati e aggressivi gli altri, con il pretesto di unghiotti robusti ai piedi, è un mistero.
Resta il fatto che i boschi stanno ritornando a popolarsi di quegli animali che li hanno sempre abitati insieme con i pochi uomini che condividevano le terre emerse con loro.
C’è da preoccuparsi? Non direi; come al solito, basta non esagerare. Per decenni abbiamo sentito le litanie sullo spopolamento: la foca monaca, la foca monaca! Adesso rischiamo di esagerare in senso opposto. Finché noi abbiamo le doppiette e i cinghiali no, se esagerano e diventano troppo aggressivi e numerosi una sfoltitina gliela possiamo sempre dare… senza esagerare, naturalmente. La lezione dovremmo averla imparata. Non è più il tempo in cui i cacciatori di bisonti, alla fine di una giornata,  lasciavano sulla prateria agli avvoltoi e agli altri animali spazzini centinaia e centinaia di bufali, riducendo in pochi anni la popolazione di bovini selvatici da tre milioni a poche centinaia.
Da ragazzo, prima di appendere al chiodo la doppietta, partecipai a qualche “cacciarella” nella maremma senese. Oggi si chiamerebbero “operazioni di contenimento della specie”, ma anche allora si trattava di abbattere soltanto alcuni cinghiali vecchi, risparmiando i giovani esemplari.


Erano belle spedizioni, bene organizzate, che coinvolgevano decine fra cacciatori e battitori e almeno un centinaio di cagnolini coraggiosissimi: i veri protagonisti della battuta. L’arrivo di un cinghiale incalzato dai segugini si avvertiva dal rumore che l’animale produceva strisciando di corsa con veemenza contro i cespugli del fitto sottobosco maremmano. L’animale lo si vedeva soltanto all’ultimo e, in un attimo, bisognava decidere se sparargli o risparmiarlo alzando il fucile orizzontalmente sopra la testa. Questo segnale significava: “lasciatelo passare; nessuno spari”, ma non sempre veniva rispettato. Uno scemo fra tanti c’è sempre, ma qui la scemo diventa anche pericoloso e non solo per il giovane cinghiale. Gli altri cacciatori disposti in fila sono pericolosamente vicini e rischiano di diventare il bersaglio involontario.
Se tutto va bene e non ci sono vittime o feriti fra cani –i più esposti- cacciatori e canai, rimangano a terra soltanto alcuni vecchi cinghiali dal muso inequivocabilmente canuto. Com’è noto uomini e maiali (e i loro cugini selvatici) si assomigliano moltissimo e, invecchiando, incanutiscono.


Pegno di laurea



Oggi pomeriggio, uscendo dalla biblioteca nell’affollata piazza del Nettuno ho fatto solo pochi passi prima di essere fermato da una bella ragazzina con la regolamentare corona d’alloro delle neolaureate la quale, con un sorriso timido mi ha chiesto se ero disposto ad ascoltarla brevemente. Al mio assenso ha portato alla giusta altezza per leggerlo un fogliettino che era, in sintesi, una sua breve presentazione. Alla fine della lettura mi ha chiesto se ero disposto ad attraversare la strada sotto la sua guida. Mi sono venute subito in mente le storielle sui boy-scout che, per fare la buona azione quotidiana, costringevano riluttanti “vecchiette” ad attraversare la strada, contro la loro volontà.
Al mio “Volentieri, andiamo” mi ha preso sottobraccio e guidato verso un punto trafficato di via Rizzoli, ma prima che ci avventurassimo perigliosamente nel dribbling fra le auto in corsa, siamo stati raggiunte dalle risate e dalle urla allegre del codazzo dei suoi amici che verificavano la puntuale e completa esecuzione del pegno. “Ma cosa fai? Sulle strisce, va ad attraversare sulle strisce. Ma che scout sei?”

laureata

Nel raggiungere docilmente la zebra pedonale, seguiti dal codazzo dei suoi amici, mi son fatto raccontare l’argomento della sua tesi di laurea. Ho finto di conoscere l’argomento per non deluderla; riguardava una banda Nonsochi responsabile di un eccidio Nonsodove. Mentre le dicevo “Ma certo” mi rammentavo del titolo della tesi in istoria della protagonista dello spassosissimo film di Alain Resnais “Parole, parole”. La giovane laureata in istoria, interpretata da Agnès Jaoui, ironizza amaramente sulla sua tesi che riguardava “I cavalieri contadini del lago Baladour”, o simili, che nessuno aveva mai sentito nominare.
Col favore degli dei, del semaforo verde ed il sostegno del codazzo abbiamo attraversato felicemente via Ugo Bassi ed io sono stato libero di tornare indietro facendo il giro largo, per non essere scortese.
Nel rincasare mi tornava in mente quando una bella mattina di  primavera avevo attraversato il centro di Bologna sostenendo una dipinto di tre metri per due, per dare una mano a due ragazzi e una ragazza che avevano troppa roba da trasportare con sole sei mani.  Li avevo accompagnati dall’angolo di Garganelli fino all’Accademia in via Belle arti dove erano diretti per esporre il dipinto, evidentemente. Alla fine del percorso avevo finalmente guardato il quadro trasportato sotto i portici di mezza città. Era un olio in bianco e nero con dei fantasmini spaziali di altri mondi: bello!


24 marzo 2014

Vecchi giocattoli



Da un paio di settimane, sono cominciati nella biblioteca Sala borsa i lavori di allestimento di una mostra di giocattoli che un collezionista ha reso disponibili per alcuni mesi. La mostra è stata inaugurata lo scorso fine settimana, ma rimarrà aperta per mesi e avrò tutto l'agio di guardarla e riguardarla entrando o uscendo dalla biblioteca, dopo le mie consuete letture pomeridiane.
I lavori di allestimento degli spazi destinati ad ospitare i giocattoli sono stati lunghi e molto rumorosi nella fase iniziale, poi, sostituiti i falegnami con gli imbianchini e gli imbianchini con i vetrinisti, il rumore è andato diminuendo e i primi giocattoli sono comparsi in disposizioni provvisorie, in attesa di trovare casa definitivamente per alcuni mesi.
Con il telefonino sempre presente nel taschino, ho ripreso alcuni degli assetti provvisori dei primi giocattoli collocati negli stand e potrai vederli come sequenza di diapositive cliccando qui o sulla foto; infatti si trovano in rete nel mio spazio di FLICKR.

cavalli a dondolo

Prima di dare un giudizio definitivo sulla mostra, voglio aspettare di averla guardata con calma, ma la prima impressione che mi ha fatto gran parte dei giochi di legno verniciato esposti è stata di malinconia. Mi sono sembrati gli onesti rappresentanti di un'epoca dei grandi ristrettezze economiche. Giocatoli bruttini per pochi privilegiati.
Della mia infanzia, ricordo:
  • un orsacchiotto,
  • un Pinocchio snodato di legno dipinto, 
  • una frusta corta da barrocciaio con la quale fare viaggiare il frullo di legno, 
  • un bastone lungo tre spanne per far saltare un legno biconico lungo quattro dita, che nel dialetto ostrogoto della mia infanzia chiamavamo sciancol-vegna; 
  • le palline di terra cotta (3 per 1 lira), 
  • una fionda, fabbricata con le mie mani con la biforcazione di un ramo di olmo e due anelli di camera d’aria da camion;
  • il preziosissimo temperino; 
  • il pallone; 
  • il tavolo da ping pong e, soprattutto, 
  • la bicicletta, cambiata di tempo in tempo per adeguarla alle crescenti misure delle mie gambe.
Quello che contava, era giocare con gli amici al pallone o a ping-pong o correre in bici o a piedi a più non posso.
E i giocattoli? Ma?


23 marzo 2014

Che FAI al museo?



Ieri pomeriggio siamo tornati dopo alcuni mesi nel nostro vecchio museo civico sotto i portici del Pavaglione. Era in corso la promozione nazionale dei luoghi d'arte da parte del FAI che organizza visite guidate, solitamente in luoghi altrimenti inaccessibili.
Non è certo il caso del museo civico di Bologna, tuttavia il FAI organizzava una visita guidata ai mosaici romani ospitati in una saletta minore al secondo piano. Si tratta per lo più di mosaici geometrici molto ben conservati, o restaurati alla perfezione, ma non certo eccezionali se paragonati ai tanti reperti musivi disseminati per l'Italia.
Noi ieri abbiamo saltato completamente la bellissima collezione egizia, seconda solo, in Italia, a quella di rilevanza mondiale di Torino, per ripercorrere la parte villanoviana, quell'etrusca e la romana.


Non ricordavo la bellissima collezione di vasi greci importati dagli etruschi e le interessanti steli funerarie di pietra delle settimo-quinto secolo  a.e.v. Sicuramente tornerò a dimenticarle, ma intanto le ho riviste con piacere. Con il telefonino, unico strumento servizievole sempre in tasca, ho scattato qualche foto; alcune di loro corredano questo testo.
Durante la visita, gruppi di turisti guidati da volontari del FAI, passavano per le sale piene di bellissimi vasi in teche polverose, senza degnarle di uno sguardo, trascorrendo come nuvole in un cielo ventoso.
All'uscita ho incontrato un vecchio amico della banda di informatici, impiegato per l'occasione dal FAI come portinaio volontario.
In tempi ormai lontani, organizzavamo corsi per diffondere l'uso delle tecnologie informatiche fra gli insegnanti e gli studenti delle scuole bolognesi. Ironicamente, ieri mi raccontava aneddoti sugli scatenati ragazzini di prima media che ne combinano di tutti i colori con i loro modernissimi telefonini ed i social network. Non hanno certo bisogno di sollecitazioni, ma al contrario di una educazione ad un uso responsabile e consapevole di questi piccoli potentissimi strumenti e della rete INTERNET.
Sempre bello il nostro ricco e trascurato museo, se poi riuscissero anche ad ammodernare un po' le vecchie polverose attrezzature espositive e l'illuminazione...

antefisse



21 marzo 2014

Sit-in?

sit-in

Che faceva oggi pomeriggio questo piccolo stormo di bellegioette seduto per terra in un angolo dell biblioteca Sala borsa di Bologna?
  1. un sit-in
  2. un mit-up
  3. un check in
  4. un breackslow
Non è il solo mistero sotto il sole, da quando stormi di turisti di provenienza dubbia hanno cominciato ad infestare portici, strade e piazze di Bologna, senza un vero perché..

18 marzo 2014

La Sala borsa di Bologna

Da qualche anno frequento nel primissimo pomeriggio la biblioteca Sala borsa che si affaccia sulla piazza del Nettuno dominata dalla grande statua di bronzo del Gian Bologna che i bolognesi chiamano affettuosamente "il Gigante". L'edificio copre una vecchia strada romana ben visibile attraverso il pavimento di vetro rischiarato da un alto lucernario.

Sala borsa Bologna

L'orario meridiano mi permette di trovare più facilmente un posto dove leggere un quotidiano o un mensile informatico fra i numerosi disponibili ad un affezionato pubblico di giovani studenti e di anziani pensionati.
I lettori di quotidiani di solito scelgono i lunghi tavoli del ballatoio del primo piano per sfogliare più comodamente il giornale, io, invece, preferisco una delle tre poltroncine circondate da piante ornamentali che si trovano all'ingresso di una sala di studio. E' un lungo locale con una dozzina di tavoli rettangolari da sei posti, lampade da tavolo e prese per il computer, frequentato quasi esclusivamente da studenti di età universitaria.

Sala borsa Bologna

Già da diversi anni era disponibile in tutta la biblioteca la rete INTERNET, riservata ai cittadini che si fossero iscritti al servizio comunale gratuito Iperbole, ma da qualche mese, dopo la tardiva e timida liberalizzazione nazionale dei collegamenti, la situazione è ulteriormente migliorata e ora è disponibile a tutti una potente copertura, per cui molti ragazzi adoperano anche i piccoli portatili personali per studiare e collegarsi gratuitamente in rete. I telefonini, invece, tacciono rigorosamente.
La compagnia silenziosissima di ragazze e ragazzi che studiano educatamente mi fa molto piacere e rende gradevole la sosta di un paio di ore, sufficienti per sfogliare un quotidiano o una rivista, prima di affrontare i 3 km e mezzo di passeggiata che mi riportano a casa sotto i portici di via Santo Stefano e, spesso, attraversando i giardini Margherita.

Sala borsa Bologna

Le immagini a corredo di questo testo sono appunto quelle della sala borsa di Bologna.




17 marzo 2014

GIFGIF


 
"E' una sfinge!"
L'espressione viene usata abitualmente per definire una persona che non lascia trasparire le sue emozioni; che conserva sempre la stessa faccia, insomma. Normalmente, invece, tutti noi in un modo o nell'altro, con maggiore o minore intensità espressiva affidiamo la manifestazione delle nostre emozioni anche alle espressioni del viso, accentuandone l'efficacia con la mimica delle mani o dell'intero corpo, a volte.


Si diceva che Eduardo de Filippo, il celebre attore napoletano, riuscisse ad esprimersi con efficacia senza dire una parola, con lunghi intensi silenzi, perfino voltando le spalle al pubblico teatrale che accorreva ad ammirarlo anche in paesi come la Russia, dove il suo napoletano aveva sicuramente poca speranza di essere capito.
A prescindere da questi virtuosismi, è generalmente accettato che la faccia degli umani, a differenza dei buoi o dei cavalli, esprima le emozioni, quanto meno quelle più intense, ma il "linguaggio del volto" è sempre inequivoco e universale?
Per provare a fornire una risposta a questa domanda, alcuni studenti dell'MIT di Boston stanno cercando di raccogliere una documentazione seria e attendibile, per mezzo di una inchiesta attraverso INTERNET, delle espressioni facciali più convincenti e universali dei principali "stati d'animo umani" o "emozioni", se preferite.
L'ambizione e la speranza degli studiosi è quella di raccogliere un campionario abbastanza completo e attendibile da costituire un vero e proprio linguaggio grafico delle emozioni. Lo strumento scelto per rappresentare le "parole" di questo linguaggio grafico sono figurine in formato GIF (Graphics Interchange Format) , il notissimo formato compresso diffuso in rete.
Il nome del futuro linguaggio sarà GIFGIF; se avrà successo non è dato sapere, ma l'idea mi sembra interessante e il nome azzeccato.
Al mio caro e sagace lettore non è certo sfuggita la contiguità con le faccine o emoticon che, in modo sempre più frequente, vengono utilizzate negli SMS, nei messaggini Whatsapp o Viber o Telegram per aggiungere componenti extra-verbali alla comunicazione testuale.
Il GIFGIF sarebbe, insomma, una evoluzione delle emoticon o delle più sofisticate emoji giapponesi?
Vedremo, nel frattempo i miei migliori auguri ai ragazzi dell'MIT e al loro GIFGIF.

13 marzo 2014

Madonna in burka

Madonna in burka

Madonna



La foto è stata scattata ieri con il telefonino in via Tovaglie a Bologna. Di immagini sacre collocate sotto i portici in angoli morti o in colli di bottiglia dove il portico continua restringendosi ce ne sono parecchie, in centro, Quasi mai brillano per la qualità pittorica o per lo stato di conservazione perfetto. Diciamo pure che il loro valore è riposto nella natura devozionale o semplicemente affettiva che conservano agli occhi degli abitanti di quell'angolo di città.
I restauri accurati sono rari per non dire inesistenti. Di solito le immagini sono quasi illeggibili per la polvere ed il nerofumo, ma proprio per questo mi ha sorpreso notare questa madonnina accuratamente restaurata nel 1975 dalla sezione bolognese di "Italia nostra". Il restauro è stato eseguito in onore del grande critico d'arte bolognese Francesco Arcangeli, come viene ricordato dalla piccola lapide posta in basso. Sin qui tutto bene: una lodevole eccezione alla regola da parte di un gruppo di sensibili concittadini in contrasto con la "normale" trascuratezza che la città riserva ad immagini analoghe.
La cosa strordinaria è che dopo il restauro, che l'avrebbe restituita all'attenzione del passante, sia stata murata viva dietro una fittissima grata che la nasconde quasi completamente, come fanno i mariti afgani gelosi quando impongono alle belle (?) mogli un deprimente burka che ne oscura perfino il volto accuratamente truccato.
Un bel vetro blindato non andava bene?

25 febbraio 2014

Apelle

Campaspe
    • Apollo figlio d'Apelle fece una palla di pollo... com'è la storiella?
    • ... Apelle figlio d'Apollo. L'umano figlio del dio, ti sembra?
    • Giusto, giusto; divinità figlie di uomini non stuzzicano l'immaginazione come il contrario. A parte il superbabbo solare cosa sappiamo del curriculum di Apelle?
    • Storie e leggende ce ne sono diverse; Plinio il vecchio è la fonte principale.
      Che era un pittore greco famosissimo alla corte di Alessandro magno te lo ricordi?
    • Sì certo, ma come è la battutaccia con il calzolaio?
    • E' riferita da Plinio, appunto. Pare che ad Apelle piacesse ascoltare i commenti dei passanti, nascondendosi dietro il suo ultimo quadro, esposto all'ingresso della sua bottega...
    • ... e il calzolaio criticò i calzari...
    • ... e Apelle accolse la giusta critica e di notte aggiustò l'errore, ma quando il calzolaio, inorgoglito dall'essere stato ascoltato, si mise a criticare anche i piedi e il resto...
    • ... ecco, ecco, m'è tornato in mente. Gli disse: "Ciccio, non t'allargare!"
    • Infatti, la traduzione di Plinio dal greco in romanesco è: "Sutor, ne ultra crepidam!"
    • Chissà poi perché gli hanno appiccicato addosso la storia che avrebbe fatto una palla di pelle di pollo? Non era nemmeno uno scultore o un cuoco. Come è lo scioglilingua, te lo ricordi tutto?
    • "Apelle figlio d'Apollo
      fece una palla di pelle di pollo.
      Tutti i pesci vennero a galla
      a mangiare la palla di pelle di pollo
      fatta da Apelle
      figlio di Apollo."
    • Bravo, la prossima volta invece di tirare del pane secco ai pesci del macero, voglio provare con una palla d'Apelle e vedere se vengono proprio a galla come fanno con il pane.
    • Chi l'pol dir?
    -
Nell'immagine, Campaspe che si spoglia davanti ad Apelle - Cour Carrée del Louvre 

Set felliniano

Set felliniano
dragaDomenica scorsa siamo andati al mare per incontrare il muratore che ha completato il rifacimento del tetto di casa nostra. La giornata era magnifica, il ristorante era strapieno e il mare scintillava al sole. Fin qui, una normale cartolina della prima bella giornata di fine inverno, quando tutti abbiamo voglia di scrollarci di dosso la muffa delle interminabili piogge.
A completare il quadro non mancava neppure l'instancabile idrovora alla foce del Logonovo che si incarica di mantenere la navigabilità del canale, e ancora più importante, cerca di compensare l'erosione marina della costa meridionale spostando da nord a sud enormi quantità di sabbia. tuboneIl trasporto avviene attraverso una lunghissima tubazione che, prima dell'arrivo dei turisti estivi, viene rimossa per lasciare il posto agli ombrelloni, ripristinando l'illusoria impressione che tutto rimanga immutato anno dopo anno.
La sola cosa veramente insolita della giornata, però, è stata la presenza di un pullman dal quale è uscita un quarantina di persone abbigliate in modo molto insolito e originale. Dapprima abbiamo pensato ad un matrimonio di giovani bizzarri, ribelli ai cliché, ma i conti non tornavano; così ci siamo informati da un signore seduto sotto un'ombra precaria che con un lungo teleobiettivo fotografava alcuni membri particolarmente variopinti della compagnia. Non era un matrimonio bizzarro, ma l'uscita di un gruppo di foto-amatori che avevano affittato, per così dire, un certo numero di figuranti in costume per ricostruire alla buona dei set fotografici e potersi divertire a fotografarli con l'agio e la libertà di un vero regista.
La "gita scolastica" dei membri del club fotografico mi è sembrata un' idea molto simpatica e sicuramente più divertente delle interminabili, noiosissime proiezioni delle diapositive di viaggio di un membro del gruppo. Di un club così, potrei quasi quasi diventare membro perfino io, in un momento di debolezza.
Del set "felliniano", composto da clown molto colorati, ho portato a casa con il telefonino l'immagine qui sotto.
clown

Senz'anima

Senz'anima

relitto marino

relitto marino


21 febbraio 2014

Uotsap

uotsap è la pronuncia italiana di due espressioni inglesi molto popolari oggi. La prima è una domanda colloquiale diffusa fra giovani anglofoni e potrebbe tradursi in "cosa c'è di nuovo?". La seconda è il nome di una applicazione per telefonini di tutte le marche che sta suscitando clamore non solo sulle testate specializzate in alta tecnologia, ma perfino sui quotidiani. Si tratta del più popolare diffuso e amato strumento di messaggistica istantanea, usato attualmente da 400 milioni di utenti attivi, comperato da un paio di giorni per 17 miliardi di dollari da Facebook, il noto social-network.
La cifra, superiore al valore in borsa della Fiat Chrysler, è sembrata mirabolante, anche se preceduta negli ultimi anni da altri numerosi acquisti con molti zeri da parte dei grandi protagonisti dell'alta tecnologia: Microsoft, Apple, Google ecc.
La speranza di noi utenti di Whatsapp è che rimanga fedele alla politica di rispetto della privacy che il fondatore, un ingegnere ucraino, ha sempre dichiarato di volere anteporre a qualunque altro scopo secondario perseguito dalla sua creatura, nata per rendere facile e libera la comunicazione fra i popoli di tutto il mondo.
Qualche dubbio può sorgere ora, dopo che il fondatore ha venduto Whatsapp, mentre l'aveva sempre dichiarata INVENDIBILE a qualunque prezzo.
Non so se sia tristemente vero che tutto ha un prezzo, ma che c'è di nuovo, what's up?

20 febbraio 2014

Un difficile equilibrio

Qualche sera fa in concomitanza con il festival di Sanremo, Rai cinque proiettava il film: Il nastro bianco del regista Haneke. Mi sembrava di ricordare in modo vago e incerto di averne visto una parte, ricordavo anche che mi era sembrato molto cupo, ma piuttosto che Sanremo...

nastro bianco

Il film si svolge in un villaggio settentrionale della Germania protestante tra il 1913 ed il 1914, poco prima dell'inizio della prima guerra mondiale. E' La storia cupa di una piccola comunità rurale in cui impera un violento dominio maschile che si può ben considerare come il terreno di cultura del futuro nazismo. I bambini sono sottoposti a una rigida disciplina che sconfina spesso nella violenza gratuita. Non ho resistito fino alla fine e sono passato a Rai tre quando cominciava Gazebo: una boccata d'aria fresca, spiritosa, intelligente.
Ieri mi veniva da ricollegare la truce disciplina protestante e la violenza che l'accompagnava, leggendo la breve notizia di cronaca che riferiva di una richiesta di soccorso ai carabinieri da parte di un bambino di otto anni che, per telefono, asseriva di essere maltrattato dalla madre.
I carabinieri accorsi, scoprirono che il bambino aveva preso un ceffone dalla mamma per avere marinato la scuola: tutto qui. Rassicurata la madre, invitarono il bambino a comportarsi meglio e a frequentare assiduamente la scuola.
La domanda è: ma è proprio impossibile trovare un ragionevole mediazione fra la violenza prenazista ed il lassismo ridicolo attuale?

16 febbraio 2014

Un bucato di foto in via Fondazza

Oggi sono rientrato a casa passando deliberatamente per via Fondazza dove avevo visto qualche giorno fa la curiosa esposizione di foto appese al muro con le mollette, come fossero fazzoletti messi ad asciugare al sole dopo il bucato.

via Fondazza Bologna

Avevo letto da qualche mese sui giornali delle iniziative per migliorare i rapporti di buon vicinato fra gli abitanti di questa storica stradina, precedentemente conosciuta fra i bolognesi per due sole ragioni: il cinema Roma all'inizio della via, verso strada Maggiore, e la casa del pittore Giorgio Morandi al numero 36.
A parte il nome "Social Street" dato all'iniziativa e l'uso di Face Book per realizzarla, almeno nella fase iniziale, mi è sembrata una cosa simpatica e molto condivisibile, come tutte le attività che tendono a migliorare i rapporti umani, in modo semplice concreto e non invasivo a partire dalla buona abitudine di dirsi buongiorno.
Non so bene lo scopo preciso della mostra di fotografie lungo lo squallido muro della ex caserma, ma è sicuramente una cosa simpatica che anche altri ragazzi fotografavano interessati e divertiti quando le ho riprese oggi con il telefonino.


Tanti auguri da parte mia a questa e ad altre iniziative simili.

12 febbraio 2014

Bagan

Bagan - Birmania

  • Lo sai che c'è un posto a questo mondo dove ci sono più pagode che cristiani?
  • Che umani, intendi dire?
  • No, no, proprio cristiani, seguaci della religione cristiana
  • Ah, be', però ci saranno indiani o buddiani
  • Sì, infatti, ci sono dei buddisti, ma la cosa straordinaria è il numero di pagode: moltissime!
  • Moltissime secondo te sarebbe un numero?
  • No, ma è sempre un bel numero, se ci pensi.
  • E dove sarebbero tutte queste pagode?
  • In Birmania, a Bagan o Pagan, come si diceva quando le hanno costruite. Guarda la foto.
  • Bel tramonto! Il tramonto "dona", come diceva Josephine Baker
  • Ma non diceva "Il nero veste", quando ballava mezzo nuda?
  • Non fare il pignolo! Quando si parla di tramonti buddaici diventi proprio noioso.

09 febbraio 2014

Scarlett_stream

Al tempo dei tempi, cioè quando noi nonni eravamo bambini, lo sport più seguito, qui da noi, non era il calcio, ma il ciclismo e la tifoseria si divideva in parti uguali fra i sostenitori di Bartali e quelli di Coppi. Molto meno visibile ma altrettanto diffusa era la divisione fra il partito della Idrolitina è quello di Idriz.
Si trattava di due prodotti in polvere poco costosi che servivano per arricchire di bollicine la comune acqua del rubinetto, che in molte città nell'immediato dopo guerra era igienicamente affidabile, ma spesso piuttosto cattiva. La diffusione dell'acqua minerale imbottigliata non era ancora avvenuta, soprattutto per ragioni economiche. L'Italia semi distrutta non poteva permettersi troppi sfizi, neppure a tavola.
Soltanto negli anni '60 la distribuzione di acqua minerale in bottiglie di vetro, trasportate a domicilio da piccoli camion urbani, divenne abbastanza diffusa, ma il vero boom del consumo di acqua imbottigliata si ebbe più tardi, dopo la diffusione delle bottiglie di plastica e dei grandi supermercati alimentari che la vendevano a poco prezzo.
Le famiglie italiane si abituarono presto a consumare acqua frizzante o gasata, come si diceva, durante i pasti in casa e al ristorante. È una di quelle abitudini che, una volta acquisite, si perdono con qualche difficoltà. Non è come smettere di fumare, ma ci manca poco. Il peso e l'ingombro delle grosse confezioni di bottiglie di plastica sono il principale aiuto a chi vuole smettere di bere l'acqua gassata. Noi, stanchi di scarrozzare 10 chili di acqua con bollicine, ci eravamo ormai convertiti alla sana e semplice acqua del rubinetto di casa, del tutto insapore e sicuramente ben controllata dal punto di vista igienico, quando un'amica premurosa ci ha regalato un gasatore domestico per arricchire di bollicine l'acqua di casa. E' un oggetto semplice che funziona bene e ci ha liberato del tutto dal facchinaggio che ormai non sopportavamo più.
In questi giorni è tornato alla ribalta, quando la celebre attrice Scarlett Johansonn è stata contestata per essere divenuta la testimonial della ditta israeliana Sodastream che produce i gasatori anche in una fabbrica che si trova in un territorio contestato dai palestinesi. La vicenda è piuttosto controversa, perché all'interno della fabbrica lavorano numerose maestranze palestinesi ben contente del salario e del trattamento che ricevono, del tutto paritario con il personale israeliano. Resta il fatto che l'attrice ha dovuto rinunciare al suo ruolo di ambasciatrice globale della Oxfam, una delle maggiori organizzazioni umanitarie al mondo.


La cosa curiosa è che, proprio in questi giorni, a Bologna si è aperta con assurdo clamore una mostra che espone alcuni quadri di scuola fiamminga, fra i quali la ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer, ispiratrice di un romanzo dal quale è stato tratto un film che vede Scarlett come protagonista, con qualche somiglianza con la ragazza del quadro fiammingo.
La coincidenza casuale fra l'ingiustificato scalpore destato dalla campagna pubblicitaria di Sodastream e l'altrettanto ingiustificato clamore destato dall'apertura della mostra, entrambi legati in qualche modo alla Johannson, hanno suggerito questo testo e l'immagine arbitraria che lo accompagna.

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