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05 marzo 2008

Capate, scarciofoli freschi

lun. 01 marzo 2004 Capate, scarciofoli freschi

Quando ero bambino e abitavamo in una strada privata più larga che lunga, ai margini della zona universitaria di Roma, mi capitava spesso, nell'andare a scuola, di vedere una giovane donna, già molto opulenta, seduta al margine del largo marciapiedi che conduceva verso un mercato coperto rionale. Se ne stava seduta su di una robusta cesta ribaltata a mondare i suoi carciofi. Si muoveva con gesti flemmatici, ma con grande perizia, ai miei occhi. Con uno spelucchino affilato recideva gran parte delle foglie più esterne, riducendo il considerevole, pomposo volume delle mammole, che pescava da un capiente cesto al suo fianco, in torsoli quasi bianchi che prontamente sfregava con un mezzo limone, perché non si ossidassero, prima di appoggiarli su di un'altra cesta ribaltata sulla quale rimanevano esposti ai passanti per invogliarli all'acquisto. A volte, li offriva, appena pronti, alle massaie che percorrevano la strada per andare al mercato. Teneva in mano l'ultimo, appena mondato dalle sue mani esperte, come fosse una rosa. Erano dei fiori squisiti, già pronti per essere mangiati così crudi, volendo, o per essere cucinati nei modi più tradizionali con olio, aglio e prezzemolo, o squartati e fritti o in uno dei tanti altri modi che la cucina locale aveva elaborato in secoli di esperienza. Intercalava questi sui gesti lenti e dignitosi con un distratto ritornello: "Capate, capate donne. Scarciofoli freschi de Ladispoli" Curioso il latinismo, (da capere cioè prendere, scegliere) conservato nella parlata dialettale, ma perduto nell'italiano e nel romanesco urbano.
Se fossero carciofi di Ladispoli e lei stesse venisse proprio dalla Maremma meridionale con una cesta di carciofi in testa, raccolti all'alba nel suo orto, è difficile da dire, ma è certo che si trattava di squisitezze già mondate che si potevano comprare con poche lire e potevano costituire, da sole, una cena gustosa, accompagnate soltanto dal pane e dall'acqua.
La squisitezza dell'acqua, bevuta dopo aver mangiato i carciofi, è un'esperienza indimenticabile per chiunque l'abbia provata e rimane immutata anche oggi, quando le maestose ortolanedi Ladispoli sono rimaste soltanto una cara immagine nella memoria.
Carciofi romani

Il bel disegno originale "su misura" è di Emilia



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun. 01 marzo 2004 Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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