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04 marzo 2008

Palloncini e palloni gonfiati

lun. 14 marzo 2005 Palloncini e palloni gonfiati

Riteneva che i palloncini non fossero altro che palloni gonfiati e viceversa. Su questo rigido parallelismo semplicistico si sviluppò la sua brillante carriera. La tentazione di vederli scoppiare con un bel botto per ridursi ad un misero cencio inconsistente lo prendeva all'improvviso, senza lasciargli scampo. Se si fosse limitato ai soli palloncini, lo si sarebbe scambiato per un semplicione afflitto da infantilismo dispettoso, qual era, ma quando puntava il suo spillo, nella forma di plateali battutacce adulatorie, contro un suo superiore l'esplosione avveniva ugualmente, ma chi scoppiava e finiva in brandelli era lui stesso.
La pletorica struttura dell'amministrazione comunale, in cui era entrato subito dopo la laurea, era per sua natura incapace di clamorosi licenziamenti ed anche la caienna di trasferimenti punitivi in province remote era preclusa, ma non per questo la sua vena iconoclastica sarebbe rimasta senza compenso adeguato.


Il primo pallone gonfiato su cui puntò il suo spillo non era che un modesto impiegato con un'anzianità maggiore alla sua, ma destinato a vedere frustrate le sue ambizioni, non tanto per l'inettitudine che lo accomunava a tanti altri suoi colleghi, ma per l'antipatia che la sua prosopopea stantia suscitava. Era dotato geneticamente di una rara varietà di sgodevolezza a largo spettro che sapeva imporsi indistintamente a tutti quelli che lo frequentavano.
Quando Carlone cominciò a punzecchiarlo con forme adulatorie sempre più frequenti e così smaccate da insospettire anche un principe, trovò un claque superiore alla sue attese fra i colleghi che se se la godevano un mondo nel vedere, finalmente, lo spocchioso Balestrazzi spalancare la sua coda di pavone sotto la valanga di complimenti, falsi come denti d'oro. Il successo ottenuto con la sua prima performance lo spronò a perseverare nel suo sport, nella convinzione che ne avrebbe guadagnato in popolarità e, per giunta, senza pagar dazio. Così, in occasione di una riunione plenaria di tutto lo staff, si scatenò in un elogio così spudoratamente adulatorio sulla profondità del discorso programmatico del suo capo, niente di più della solita aria fritta, che risultò chiaro perfino all'oratore che si trattava di una presa in giro sfrontata.
In capo ad una settimana si ritrovò in un piccolo locale del seminterrato, appena illuminato da bocche di lupo, a ricontrollare i registri delle minute spese dell'"Ufficio igiene e manutenzione ordinaria", un incarico così squallido e privo di orizzonte quanto il locale che l'ospitava.
Difficile scendere più in basso, eppure, anche dal profondo di quella sentina, la sua verve, ormai ammuffita, trovò modo di punzecchiare, durante le sue rare apparizioni, il responsabile dell'ufficio: un esangue impiegato in attesa di pensionamento, che fingeva con se stesso di avere una mansione per non soccombere completamente alla noia. Non disponendo di un incarico operativo di rango inferiore né di un locale più isolato e impraticabile, eccetto lo stambugio della caldaia, lo promossero rappresentante sindacale a vita: per definizione, il pallone gonfiato più vuoto e intoccabile dell'intera compagnia.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun. 14 marzo 2005 Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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