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mio blog personale
prima del 9 Aprile 2008, data di apertura di questo blog.
Da allora in poi, ne e' una replica fedele.
mio blog personale
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Da allora in poi, ne e' una replica fedele.
30 aprile 2020
Amiainsaputa
Amianisputa mi son trovato in mezzo ad una manifestazione
29 aprile 2020
Competenza
Se fossi un'aquila saprei volare
Se fossi un pesce saprei nuotare
Se fossi un lupo saprei cacciare
Se fossi un'ape saprei alveare
A me invece tocca studiare e imparare
27 aprile 2020
Il santone
Con una fitta selva di sinapsi iperattive
Manteneva il suo cervello sempre sul chivive
Finché un abile esoterico santone
Non lo invischiò nella sua proficua religione
E lo ridusse a un obbediente patetico coglione
26 aprile 2020
I creatori
La creazione di Adamo - cappella sistina - Michelangelo |
Nel fumo della pipa svaniscono i pensieri
I ricordi più dolci e quelli più neri
Quando nel futuro gli uomini di scienza
Faranno un sol corpo dei brandelli di conoscenza
Perdoneranno con affetto la nostra infantile insipienza
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25 aprile 2020
Verso sera
Bologna |
Da ragazzo al tramonto o poco prima
Prendevo la moto e andavo in collina
Accendevo la pipa e guardavo da lontano
Il tramonto spegnersi sul formicolio umano
E una dolce malinconia mi prendeva per mano
24 aprile 2020
23 aprile 2020
Mare inclinato
Balle di plastica da riciclare |
Dicono che la plastica inquina il mare
Ma siccome da sola non sa camminare
Vuol dire che qualcuno ce l'ha portata
O incautamente o da criminale l'ha buttata
Allora è proprio la plastica ad inquinare?
Il pallone
Sono nato per saltare e rimbalzare
E sopra i prati correre e rotolare
Che colpa ho se il bambino è malato
E nel suo triste lettino è confinato
Almeno col cane lasciatemi giocare
22 aprile 2020
L'eredità
Ritratto di vecchia dama di Agostino Carracci |
Anche lui sbadigliò fingendo simpatia
Per sincronizzarsi con la vecchia arpia
Che per inveterata secolare supponenza
Continuava a sottostimare l'intelligenza
Del nipote che la circuiva simulando deferenza
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21 aprile 2020
Ipoglicemia
Come la mortadella il paradosso
E' tutta ciccia e niente osso
Andare a caccia di balene nei canali
A cavallo di liocorni primordiali
Per soddisfare istinti ancestrali
20 aprile 2020
19 aprile 2020
Sine tempore
Difficile dire se fosse troppo presto o troppo tardi quando la nave spaziale lo scodellò nel vasto atrio d’accoglienza del porto, ma ad aspettarlo non c’era nessuno.
Alla partenza si era infilato in una capsula isotermica per abbandonarsi allo stato letargico, normale durante i lunghi trasferimenti nella galassia, fino a quando il computer di bordo non lo aveva risvegliato in prossimità della sua destinazione.
Il livello d’ormeggio a cui avevano attraccato sembrava vuoto, o meglio non si vedeva nessuno in giro, anche se la voce sintetica onnidirezionale che lo aveva accolto, rivolgendosi a lui personalmente e nella sua lingua e animando una vasta parete con immagini olografiche estremamente realistiche, gli aveva fornito tutte le indicazioni che potevano servire ad un ospite a combustione interna d’ossigeno, .
Assecondando i suggerimenti, si era liberato della scomoda tuta pressurizzata da sbarco per indossarne una molto più confortevole e adeguata alla situazione, che sembrava essere stata preparata per lui o, più semplicemente, era di tipo autocalzante.
Quando, al termine del filmato informativo, la voce aveva cessato di parlare, forse in attesa di sue richieste, anche la parete animata era tornata ad uno stato opalescente, identico al resto della struttura.
La luce sotto la cupola si era stabilizzata a valori di stand-by: un chiarore diffuso, senza ombre e senza variazioni, ad attinicità ottimale per garantire lo sviluppo della flora transgenica che abbelliva l’atrio, il centro delle rotatorie di svincolo dei tunnel a clima controllato e stipava gli orti a sviluppo verticale dei centri di approvvigionamento alimentare, come aveva potuto vedere e ascoltare durante la proiezione olografica.
Anche la temperatura, la pressione, il grado di umidità e la percentuale dei gas che formavano l’atmosfera erano costanti e gli ricordavano vagamente il breve crepuscolo di alcune isole subtropicali del suo pianeta.
Era sicuramente buona per le coltivazioni idroponiche e i microrganismi spazzini che presiedevano all’equilibrio dell’ambiente e forse anche per lui, ma priva di riferimenti ai vecchi parametri storici che lo tenevano sui binari da quando era nato: ora, giorno-notte, stagioni.
Da quando i periodi di rivoluzione e rotazione erano stati rettificati e sull’isola era stato adottato l’avanzamento lineare uniforme del tempo, espresso in TIC, la vita sull’isola aveva assunto ritmi più semplici e razionali, ammesso che lo stesso concetto di ritmo potesse trovare spazio in una struttura quasi priva di ciclicità.
I sintetici che la governavano e presiedevano al funzionamento del sistema avevano da tempo relegato ai recessi profondi degli archivi storici il primitivo concetto di periodicità che era stato adottato per guidare il comportamento dei primi robot, costruiti ad immagine e somiglianza dei loro creatori.
Da quando i Sint si erano emancipati e si autoprogrammavano, avevano abbandonato la rigidezza delle periodicità fisse, per quanto li riguardava, per affidarsi in toto a più semplici ed efficaci meccanismi di retroazione, in grado di ricalcolare, istante per istante, la quantità di energie e di TIC che ogni compito richiedeva, tenendo conto dell’attrito globale variabile che incontravano nello svolgerlo.
Bestfit era al corrente della situazione per averla studiata, ne condivideva l’eleganza concettuale ed era curioso di vederla applicata, benché proprio la ragione della sua presenza lasciasse dubitare della sua perfezione.
Ad indurlo ad accettare un viaggio lunghissimo e non privo d’incognite, non era stata la generosa offerta di denaro, né il legittimo orgoglio professionale per essere stato scelto come consulente dal governo di una delle isole spaziali più avanzate, faro di civiltà pacifica e stabile, ma la curiosità di conoscere un mondo di cui tutti favoleggiavano, benché nessuno lo conoscesse per esperienza diretta.
Era stato invitato, con tutti gli onori, a compiere il viaggio: quello per il quale sarebbe stato disposto a spendere tutti i suoi averi ed anche a rischiare la vita, come Ulisse al cospetto dell’oceano. Ma all’isola non si attraccava se non invitati e nessuno della comunità scientifica del suo pianeta lo era stato fino ad allora. Nessuno, mai.
Proprio per questo gli appariva molto strano che non ci fosse nessuno ad accoglierlo.
Istintivamente consultò il suo primitivo strumento da polso: una periferica wireless costantemente collegata all’orologio atomico dell’istituto di ricerca sul tempo che dirigeva, per ricavarne un ovvio messaggio di out of range, utile per ricavarne l’ora quanto il frenetico display che mostrava il tempo in TIC od il pallore crepuscolare senza ombre che inondava uniformemente la cupola.
L’atrio non mostrava varchi né aperture, ma quando avvicinò una mano ad una parete per saggiarne la superficie, la voce riprese: "Quando vuole, dottor Bestfit. Il trasporto l’attende per portarla al suo alloggio dove i nostri maestri del tempo sono ansiosi di conoscerla. Se è pronto per continuare il viaggio, molto breve, vedrà, avanzi nella stessa direzione e si accomodi sul trasporto.
E’ già in attesa e saturo della miscela dei gas che lei respira ora. "Aria fresca", la chiamate, vero? Speriamo che sia di suo gusto. Altrimenti continui a riposare in quest’area di transito, interdetta ai Sint, fin quando non è pronto per proseguire".
Interdetta ai Sint, aveva detto; ecco la ragione dell’assenza di Mastime con il quale aveva preso gli accordi preliminari prima di partire e che si aspettava di trovare al porto al suo arrivo.
Probabilmente era un’entità collettiva modulare, capace di pensare e lavorare in parallelo o per entità disgiunte, in relazione alle circostanze; la stessa che la voce aveva chiamato "maestri del tempo".
Il trasporto non aveva sedili: i Sint non si stancano e non riposano.
Restando in piedi, però, la testa di Bestfit toccava il soffitto, in compenso l’aria era respirabile, con un eccesso di O3 forse, come accade dopo un temporale. La navetta, "il trasporto" l’aveva chiamata la voce, si muoveva nel buio più completo, senza sussulti.
Ovviamente non c’era pilota, ma non sembrava muoversi su di una pista o su binari; se fluttuasse nell’aria aperta o si movesse come un hovercraft dentro un tunnel era impossibile da stabilire.
Le pareti emettevano il solito pallore opalescente, molto attenuato, che sembrava causato da una proprietà del materiale più che dalla volontà d’illuminare l’interno.
Ripeté l’esperienza di avvicinare una mano ad un punto a caso. Ancora una volta la superficie cambiò stato. Apparve una sorta di mappa con punti luminosi identificati da coppie di numeri arabi (le buone vecchie coordinate?) e, in costante aggiornamento, una traccia luminosa (la posizione del trasporto?), ma nessuna voce si attivò.
Gli sembrò che i segnali luminosi fossero replicati anche su di una frequenza diversa, (ultrasuoni?) che percepiva come fischi quasi impercettibili. Ne sapeva poco più di prima.
Allontanò la mano e lo stato opalescente fu ripristinato. Probabilmente la mappa era attiva e permetteva al viaggiatore di determinare la rotta e la destinazione, arguì.
La cosa lo confortò: non era rinchiuso in un furgone cellulare, ma viaggiava su di una specie di super-taxi programmabile sia dall’esterno che dall’interno, dotato di strumenti di comunicazione che gli avrebbero permesso di agire, una volta conosciuti.
Con una decelerazione dolce e progressiva il trasporto si fermò e apparve un’apertura, completamente invisibile durante il viaggio: un varco verso il buio.
Stava guardandosi attorno, quando l’ambiente circostante s’illuminò e una voce, leggermente diversa, lo accolse: "Venga dottor Bestfit, la cupola è piena di aria fresca. La ringraziamo molto di averci raggiunto nella nostra piccola isola. Siamo i maestri del tempo, o Mastime, se preferisce: un’entità sintetica collettiva.
Si rivolga a noi nella sua lingua, al singolare o al plurale, come preferisce. Le risponderemo sempre con questa voce, se ci sente bene."
"Perfettamente, grazie"
"Abbiamo allestito, per lei solo, un alloggio sterile a gravità terrestre, con servizi e arredi del tipo che lei usa abitualmente. C’è aria fresca e dispensatori di acqua dolce nutritiva; per raggiungerlo cammini attraverso la parete che le sta di fronte.
Beva quando ha fame o sete e chieda più luce o più buio, più caldo più freddo secondo le sue abitudini.
Noi fluttuiamo all’esterno, non c’è aria adatta a lei qui da noi, eccetto che nel trasporto che ha già usato ed è a sua disposizione. Quando è stanco riposi. Noi siamo sempre attivi, inneschi il collegamento per mezzo della sua voce, ci chiami semplicemente, insomma. La lasciamo riposare ora?"
"Grazie, Mastime, ho riposato anche troppo durante il viaggio, mi piacerebbe conoscere meglio la ragione del vostro invito, che ho gradito molto."
"Vorremmo che lei ci chiarisse alcuni aspetti della vita sul suo pianeta che non conosciamo bene e che potrebbero aiutarci a risolvere qualche problema con la piccola colonia di animali, di esseri animati, di organici…come definirli?"
"Persone?"
"Ecco, appunto, che creano qualche problema alle persone che noi ospitiamo qui sulla nostra isola. Non vorremmo si estinguessero completamente, ma il rischio ormai è grande. Si tratta di una piccola comunità di organici a combustione interna che ingeriscono solidi e liquidi ed usano ossigeno come comburente, simili a lei, da questo punto di vista."
"Uomini?"
"Giudicherà lei. L’aspetto è considerevolmente diverso dal suo, ma hanno punti in comune con il modello a cui lei appartiene: sono entità singole non collegabili in parallelo, dotate di organi adatti alla sola riproduzione sessuata, ma a differenza vostra, non praticano la clonazione.
Sono costituiti da un solo blocco completamente organico, composto di organi non sostituibili e a durata limitata, ad usura rapida e bassa efficienza termodinamica.
Hanno bisogno di grandi quantità di combustibile che dissipano rapidamente, sia in forma di calore disperso sia in forma di scorie inutilizzabili.
In assenza di ossigeno, ad esempio, cadono rapidamente in una forma di letargia simile a quella periodica in cui trascorrono un terzo del loro tempo. La cosa curiosa è che non ne escono più, neppure riportandoli in ambiente ossigenato."
"Muoiono, insomma."
"Può darsi che sia questa la definizione corretta di questo cambiamento di stato apparentemente irreversibile, che parrebbe collegabile a cause molteplici, non soltanto all’assenza di ossigeno.
Il nostro problema è che, in assenza di un’analisi certa della causa del malfunzionamento che li conduce alla letargia, non siamo in grado d’innescare la procedura corretta per riattivarli.
Sfortunatamente nei nostri archivi non è presente alcuna scheda descrittiva della struttura costruttiva delle persone, né, tantomeno, quella per la loro manutenzione ordinaria e straordinaria.
Questa colpevole negligenza, che risale ai primordi lontani del tempo ciclico, ben prima della rettifica delle orbite, ci ha indotto a sperare nel suo aiuto esperto per consentirci di uscire dall’imbarazzo ed evitare l’estinzione degli ultimi esemplari di persone, come lei li ha definiti: soprattutto da cuccioli sono così buffi e giocosi, sarebbe un peccato.
Noi supponiamo che le informazioni che ci servirebbero siano conservate in dischi optomagnetici che, a suo tempo, venivano ritenuti affidabili e indistruttibili. In effetti sono inalterati a distanza di parecchi milioni di TIC, ma non esiste più alcun dispositivo in grado di leggerli.
Tutto quello che non è stato convertito negli archivi neuronali è divenuto lettera morta."
"Benché vi possa sembrare incredibile, non credo che trovereste le informazioni che vi servirebbero neppure nelle antiche memorie optomagnetiche."
"Come mai?"
"Perché resuscitare un animale morto, per asfissia o per altre cause, non è mai riuscito a nessuno, se non nelle favole.
Quando il cambiamento di stato di un organico, come dite voi, si è completato è irreversibile e, tradizionalmente, è chiamato morte. Mi rendo conto che si tratta di un difetto di costruzione che appare incredibile ai vostri occhi, ma è sempre stato così.
Ci sono procedure che possono allontanare nel tempo questo evento, ma vanno applicate prima del cambiamento di stato. Quest’arte da noi prende il nome di medicina."
"Lei conosce quest’arte?"
"No, tuttavia qualche consiglio utile alla loro sopravvivenza, forse, potrei darvelo ugualmente, ma dovrei vederli e parlare loro, prima."
"Li potrà vedere quando e quanto vuole, ma dubito che possa parlare con loro come sta facendo con noi ora."
"Non conoscono la Koinè?"
"No, non parlano un linguaggio comprensibile. Sono molto docili, affettuosi e anche espressivi, a loro modo, ma non crediamo che siano in grado di parlarle.
Probabilmente hanno subito un processo involutivo per sopravvivere a condizioni competitive insostenibili per loro.
Se sono gli eredi dei primi organici che impiantarono e popolarono l’isola, come abbiamo pensato, e furono i padri delle prime serie di Sint da cui tutti noi discendiamo dovevano essere ben diversi, allora."
"Ma da che pianeta provengono?"
Alla partenza si era infilato in una capsula isotermica per abbandonarsi allo stato letargico, normale durante i lunghi trasferimenti nella galassia, fino a quando il computer di bordo non lo aveva risvegliato in prossimità della sua destinazione.
Il livello d’ormeggio a cui avevano attraccato sembrava vuoto, o meglio non si vedeva nessuno in giro, anche se la voce sintetica onnidirezionale che lo aveva accolto, rivolgendosi a lui personalmente e nella sua lingua e animando una vasta parete con immagini olografiche estremamente realistiche, gli aveva fornito tutte le indicazioni che potevano servire ad un ospite a combustione interna d’ossigeno, .
Assecondando i suggerimenti, si era liberato della scomoda tuta pressurizzata da sbarco per indossarne una molto più confortevole e adeguata alla situazione, che sembrava essere stata preparata per lui o, più semplicemente, era di tipo autocalzante.
Quando, al termine del filmato informativo, la voce aveva cessato di parlare, forse in attesa di sue richieste, anche la parete animata era tornata ad uno stato opalescente, identico al resto della struttura.
La luce sotto la cupola si era stabilizzata a valori di stand-by: un chiarore diffuso, senza ombre e senza variazioni, ad attinicità ottimale per garantire lo sviluppo della flora transgenica che abbelliva l’atrio, il centro delle rotatorie di svincolo dei tunnel a clima controllato e stipava gli orti a sviluppo verticale dei centri di approvvigionamento alimentare, come aveva potuto vedere e ascoltare durante la proiezione olografica.
Anche la temperatura, la pressione, il grado di umidità e la percentuale dei gas che formavano l’atmosfera erano costanti e gli ricordavano vagamente il breve crepuscolo di alcune isole subtropicali del suo pianeta.
Era sicuramente buona per le coltivazioni idroponiche e i microrganismi spazzini che presiedevano all’equilibrio dell’ambiente e forse anche per lui, ma priva di riferimenti ai vecchi parametri storici che lo tenevano sui binari da quando era nato: ora, giorno-notte, stagioni.
Da quando i periodi di rivoluzione e rotazione erano stati rettificati e sull’isola era stato adottato l’avanzamento lineare uniforme del tempo, espresso in TIC, la vita sull’isola aveva assunto ritmi più semplici e razionali, ammesso che lo stesso concetto di ritmo potesse trovare spazio in una struttura quasi priva di ciclicità.
I sintetici che la governavano e presiedevano al funzionamento del sistema avevano da tempo relegato ai recessi profondi degli archivi storici il primitivo concetto di periodicità che era stato adottato per guidare il comportamento dei primi robot, costruiti ad immagine e somiglianza dei loro creatori.
Da quando i Sint si erano emancipati e si autoprogrammavano, avevano abbandonato la rigidezza delle periodicità fisse, per quanto li riguardava, per affidarsi in toto a più semplici ed efficaci meccanismi di retroazione, in grado di ricalcolare, istante per istante, la quantità di energie e di TIC che ogni compito richiedeva, tenendo conto dell’attrito globale variabile che incontravano nello svolgerlo.
Bestfit era al corrente della situazione per averla studiata, ne condivideva l’eleganza concettuale ed era curioso di vederla applicata, benché proprio la ragione della sua presenza lasciasse dubitare della sua perfezione.
Ad indurlo ad accettare un viaggio lunghissimo e non privo d’incognite, non era stata la generosa offerta di denaro, né il legittimo orgoglio professionale per essere stato scelto come consulente dal governo di una delle isole spaziali più avanzate, faro di civiltà pacifica e stabile, ma la curiosità di conoscere un mondo di cui tutti favoleggiavano, benché nessuno lo conoscesse per esperienza diretta.
Era stato invitato, con tutti gli onori, a compiere il viaggio: quello per il quale sarebbe stato disposto a spendere tutti i suoi averi ed anche a rischiare la vita, come Ulisse al cospetto dell’oceano. Ma all’isola non si attraccava se non invitati e nessuno della comunità scientifica del suo pianeta lo era stato fino ad allora. Nessuno, mai.
Proprio per questo gli appariva molto strano che non ci fosse nessuno ad accoglierlo.
Istintivamente consultò il suo primitivo strumento da polso: una periferica wireless costantemente collegata all’orologio atomico dell’istituto di ricerca sul tempo che dirigeva, per ricavarne un ovvio messaggio di out of range, utile per ricavarne l’ora quanto il frenetico display che mostrava il tempo in TIC od il pallore crepuscolare senza ombre che inondava uniformemente la cupola.
L’atrio non mostrava varchi né aperture, ma quando avvicinò una mano ad una parete per saggiarne la superficie, la voce riprese: "Quando vuole, dottor Bestfit. Il trasporto l’attende per portarla al suo alloggio dove i nostri maestri del tempo sono ansiosi di conoscerla. Se è pronto per continuare il viaggio, molto breve, vedrà, avanzi nella stessa direzione e si accomodi sul trasporto.
E’ già in attesa e saturo della miscela dei gas che lei respira ora. "Aria fresca", la chiamate, vero? Speriamo che sia di suo gusto. Altrimenti continui a riposare in quest’area di transito, interdetta ai Sint, fin quando non è pronto per proseguire".
Interdetta ai Sint, aveva detto; ecco la ragione dell’assenza di Mastime con il quale aveva preso gli accordi preliminari prima di partire e che si aspettava di trovare al porto al suo arrivo.
Probabilmente era un’entità collettiva modulare, capace di pensare e lavorare in parallelo o per entità disgiunte, in relazione alle circostanze; la stessa che la voce aveva chiamato "maestri del tempo".
Il trasporto non aveva sedili: i Sint non si stancano e non riposano.
Restando in piedi, però, la testa di Bestfit toccava il soffitto, in compenso l’aria era respirabile, con un eccesso di O3 forse, come accade dopo un temporale. La navetta, "il trasporto" l’aveva chiamata la voce, si muoveva nel buio più completo, senza sussulti.
Ovviamente non c’era pilota, ma non sembrava muoversi su di una pista o su binari; se fluttuasse nell’aria aperta o si movesse come un hovercraft dentro un tunnel era impossibile da stabilire.
Le pareti emettevano il solito pallore opalescente, molto attenuato, che sembrava causato da una proprietà del materiale più che dalla volontà d’illuminare l’interno.
Ripeté l’esperienza di avvicinare una mano ad un punto a caso. Ancora una volta la superficie cambiò stato. Apparve una sorta di mappa con punti luminosi identificati da coppie di numeri arabi (le buone vecchie coordinate?) e, in costante aggiornamento, una traccia luminosa (la posizione del trasporto?), ma nessuna voce si attivò.
Gli sembrò che i segnali luminosi fossero replicati anche su di una frequenza diversa, (ultrasuoni?) che percepiva come fischi quasi impercettibili. Ne sapeva poco più di prima.
Allontanò la mano e lo stato opalescente fu ripristinato. Probabilmente la mappa era attiva e permetteva al viaggiatore di determinare la rotta e la destinazione, arguì.
La cosa lo confortò: non era rinchiuso in un furgone cellulare, ma viaggiava su di una specie di super-taxi programmabile sia dall’esterno che dall’interno, dotato di strumenti di comunicazione che gli avrebbero permesso di agire, una volta conosciuti.
Con una decelerazione dolce e progressiva il trasporto si fermò e apparve un’apertura, completamente invisibile durante il viaggio: un varco verso il buio.
Stava guardandosi attorno, quando l’ambiente circostante s’illuminò e una voce, leggermente diversa, lo accolse: "Venga dottor Bestfit, la cupola è piena di aria fresca. La ringraziamo molto di averci raggiunto nella nostra piccola isola. Siamo i maestri del tempo, o Mastime, se preferisce: un’entità sintetica collettiva.
Si rivolga a noi nella sua lingua, al singolare o al plurale, come preferisce. Le risponderemo sempre con questa voce, se ci sente bene."
"Perfettamente, grazie"
"Abbiamo allestito, per lei solo, un alloggio sterile a gravità terrestre, con servizi e arredi del tipo che lei usa abitualmente. C’è aria fresca e dispensatori di acqua dolce nutritiva; per raggiungerlo cammini attraverso la parete che le sta di fronte.
Beva quando ha fame o sete e chieda più luce o più buio, più caldo più freddo secondo le sue abitudini.
Noi fluttuiamo all’esterno, non c’è aria adatta a lei qui da noi, eccetto che nel trasporto che ha già usato ed è a sua disposizione. Quando è stanco riposi. Noi siamo sempre attivi, inneschi il collegamento per mezzo della sua voce, ci chiami semplicemente, insomma. La lasciamo riposare ora?"
"Grazie, Mastime, ho riposato anche troppo durante il viaggio, mi piacerebbe conoscere meglio la ragione del vostro invito, che ho gradito molto."
"Vorremmo che lei ci chiarisse alcuni aspetti della vita sul suo pianeta che non conosciamo bene e che potrebbero aiutarci a risolvere qualche problema con la piccola colonia di animali, di esseri animati, di organici…come definirli?"
"Persone?"
"Ecco, appunto, che creano qualche problema alle persone che noi ospitiamo qui sulla nostra isola. Non vorremmo si estinguessero completamente, ma il rischio ormai è grande. Si tratta di una piccola comunità di organici a combustione interna che ingeriscono solidi e liquidi ed usano ossigeno come comburente, simili a lei, da questo punto di vista."
"Uomini?"
"Giudicherà lei. L’aspetto è considerevolmente diverso dal suo, ma hanno punti in comune con il modello a cui lei appartiene: sono entità singole non collegabili in parallelo, dotate di organi adatti alla sola riproduzione sessuata, ma a differenza vostra, non praticano la clonazione.
Sono costituiti da un solo blocco completamente organico, composto di organi non sostituibili e a durata limitata, ad usura rapida e bassa efficienza termodinamica.
Hanno bisogno di grandi quantità di combustibile che dissipano rapidamente, sia in forma di calore disperso sia in forma di scorie inutilizzabili.
In assenza di ossigeno, ad esempio, cadono rapidamente in una forma di letargia simile a quella periodica in cui trascorrono un terzo del loro tempo. La cosa curiosa è che non ne escono più, neppure riportandoli in ambiente ossigenato."
"Muoiono, insomma."
"Può darsi che sia questa la definizione corretta di questo cambiamento di stato apparentemente irreversibile, che parrebbe collegabile a cause molteplici, non soltanto all’assenza di ossigeno.
Il nostro problema è che, in assenza di un’analisi certa della causa del malfunzionamento che li conduce alla letargia, non siamo in grado d’innescare la procedura corretta per riattivarli.
Sfortunatamente nei nostri archivi non è presente alcuna scheda descrittiva della struttura costruttiva delle persone, né, tantomeno, quella per la loro manutenzione ordinaria e straordinaria.
Questa colpevole negligenza, che risale ai primordi lontani del tempo ciclico, ben prima della rettifica delle orbite, ci ha indotto a sperare nel suo aiuto esperto per consentirci di uscire dall’imbarazzo ed evitare l’estinzione degli ultimi esemplari di persone, come lei li ha definiti: soprattutto da cuccioli sono così buffi e giocosi, sarebbe un peccato.
Noi supponiamo che le informazioni che ci servirebbero siano conservate in dischi optomagnetici che, a suo tempo, venivano ritenuti affidabili e indistruttibili. In effetti sono inalterati a distanza di parecchi milioni di TIC, ma non esiste più alcun dispositivo in grado di leggerli.
Tutto quello che non è stato convertito negli archivi neuronali è divenuto lettera morta."
"Benché vi possa sembrare incredibile, non credo che trovereste le informazioni che vi servirebbero neppure nelle antiche memorie optomagnetiche."
"Come mai?"
"Perché resuscitare un animale morto, per asfissia o per altre cause, non è mai riuscito a nessuno, se non nelle favole.
Quando il cambiamento di stato di un organico, come dite voi, si è completato è irreversibile e, tradizionalmente, è chiamato morte. Mi rendo conto che si tratta di un difetto di costruzione che appare incredibile ai vostri occhi, ma è sempre stato così.
Ci sono procedure che possono allontanare nel tempo questo evento, ma vanno applicate prima del cambiamento di stato. Quest’arte da noi prende il nome di medicina."
"Lei conosce quest’arte?"
"No, tuttavia qualche consiglio utile alla loro sopravvivenza, forse, potrei darvelo ugualmente, ma dovrei vederli e parlare loro, prima."
"Li potrà vedere quando e quanto vuole, ma dubito che possa parlare con loro come sta facendo con noi ora."
"Non conoscono la Koinè?"
"No, non parlano un linguaggio comprensibile. Sono molto docili, affettuosi e anche espressivi, a loro modo, ma non crediamo che siano in grado di parlarle.
Probabilmente hanno subito un processo involutivo per sopravvivere a condizioni competitive insostenibili per loro.
Se sono gli eredi dei primi organici che impiantarono e popolarono l’isola, come abbiamo pensato, e furono i padri delle prime serie di Sint da cui tutti noi discendiamo dovevano essere ben diversi, allora."
"Ma da che pianeta provengono?"
"Al tempo della rettifica dell’orbita e del passaggio al sistema neuronale ci fu una vera e propria rivoluzione. Tutti i vecchi sistemi digitali binari fondati sulla cosiddetta intelligenza artificiale furono sostituiti…"
"…distrutti, intende dire?"
"Sì, riciclati senza eccezione, fu instaurato il sistema spazio-temporale lineare fondato sul TIC che misura sia il tempo trascorso che lo spazio coperto dall’isola, mentre procede in direzione di Orione seguendo una rotta lineare a velocità costante.
Nessun dato è rimasto su quanto precedette il reset universale; eccetto una piccola colonia insignificante di organici, estranei al sistema neuronale che ci governa e di cui tutti siamo parte."
"Una lotta per la conquista del potere fra Sint binari e Sint neuronali, sfociata in un cataclisma artificiale che ha cancellato l’intera storia dell’isola, ma ha lasciato in vita un pugno di organici. Dovevano essere importanti."
"Al contrario, sono sopravvissuti perché irrilevanti. Li ha salvati la loro involuzione verso forme primitive sempre più elementari."
"Più probabile, in effetti. La mia natura mi porta a questo genere di errori. Però voi ci tenete molto ugualmente, a quanto pare. Come si spiega?"
"Noi viviamo in un presente immutabile e perfetto, siamo uno e molti allo stesso tempo, e abbiamo una conoscenza completa e un controllo totale del nostro mondo; queste piccole persone sono una fonte perenne di sorprese.
All’interno dell’ambiente che abbiamo creato e manteniamo per loro, li lasciamo completamente liberi di agire e loro vi si muovono come se ne fossero i padroni, ma in realtà sono incapaci di governarlo e di governarsi e questo genera infinite variazioni irrazionali e imprevedibili.
Per noi sarebbero un autentico spasso, sennonché, lasciati a se stessi, stanno compromettendo l’equilibrio dell’ambiente che dovrebbero custodire e mentre si azzuffano fra di loro accelerano il processo di degrado naturale a cui sono soggetti.
Abbandonano definitivamente, nascondendone sotto la superficie i resti inutilizzabili, coloro di cui hanno causato la letargia totale con atti crudeli e svantaggiosi per l’intera loro comunità.
Non sono in grado di concordare una strategia di governo stabile e vantaggiosa per tutti e, pertanto, temiamo che in questo modo stiano avviandosi a scomparire completamente, per questo l’abbiamo chiamata: li aiuti a salvarsi."
"E perché?"
Questo racconto è stato pubblicato nel 2009 nel mio libro cartaceo "Capo e coda"
Crepuscolo zero
Non si era trattato di cannibalismo, in ogni caso.
Neppure quando il sole sparì con un balzo, inghiottito dalla notte ci fu spazio e tempo per pentirsi.
Era stato come un tramonto senza la dolcezza del crepuscolo. Rapidamente la luce venne meno come durante un'eclisse e la stessa atavica sensazione di un freddo innaturale s'insinuò lungo la schiena.
Nessuno si sarebbe aspettato che l'ostilità della Compagnia si manifestasse in quel modo.
I megaschermi dei giornali murali non avevano preannunciato con la solita fanfara l'evento, e una rapida consultazione dei lunari sui videotelefoni aveva confermato anche ai più ottimisti che nessuna eclisse era prevista per quel giorno su Marte.
I sensori crepuscolari si attivarono frettolosamente. Le campane di vetro assunsero rapidamente l'abituale pallore fluorescente dell'illuminazione serale e l'erogazione di ossigeno si ridusse ai livelli medio bassi serali, appena sufficienti per respirare confortevolmente sdraiati sui triclini multimediali, immersi nel tripudio olografico degli spettacoli della sera, prima della drastica riduzione notturna.
Il regime sera stanò dai ripostigli i robot pulitori che con la loro ammaccata e rugginosa solerzia cominciarono ad aspirare, fagocitare e triturare quanto era rimasto in giro per effetto dell'oscurità inattesa. La loro presenza routinaria fu interpretata come un buon segno da molti, anche se non testimoniava altro che la schematica stupidità di quei piccoli, servizievoli sintetici da quattro soldi.
Gli ascensori furono presi d'assalto, senza rispetto per gli abituali turni di uscita. Il sovraccarico cominciò a provocare i primi guasti.
I più fortunati rimasero fermi ai piani con le porte che si aprivano e chiudevano senza senso come sbadigli. I più ligi decisero di attenersi alle procedure d'emergenza incendi, reiterate con illeggibile frequenza da vecchi cartelli sbiaditi e si avventurarono per le scale d'emergenza per scoprire che ospitavano inattaccabili colonie d'insetti mutanti assuefatti a quell'habitat, indisturbato quanto le antiche foreste pluviali, ma più buio e altrettanto ostile all'uomo.
Neanche i robot smaltitori e liquidatori venivano più spediti da tempo in quella giungla verticale che si favoleggiava ospitasse nei sotterranei più profondi grossi carnivori ciechi e albini dai denti a sciabola che si nutrivano a spese dell'inesauribile colonia di ratti.
L'uso dei lanciafiamme e degli estintori apriva un varco breve, ma sufficiente per dimostrare l'inutilità di procedere a quel modo. Inutili anche i tentativi individuali di sfuggire alla sorte comune.
I megaschermi da cui proveniva l'informazione ufficiale, l'unica diffusa se non credibile, tacevano come se nulla fosse accaduto, accreditando due ipotesi altrettanto allarmanti: l'evento era noto e voluto per qualche ragione oscura, ma funzionale al potere oppure era ignoto e indesiderato, ma completamente fuori controllo.
Quale delle due ipotesi fosse preferibile era questione d'inclinazione personale, ma neppure i bookmaker più scatenati avevano fatto in tempo ad organizzare le scommesse sull'argomento.
Chi si sentiva sotto il culo della rana già da prima, aveva buoni motivi per ritenere la sua posizione rafforzata e la catastrofe finale imminente, mentre gli ottimisti inossidabili non si facevano smontare da una banalità come la sparizione del crepuscolo: c'era da scommetterci che anche in un mondo a crepuscolo zero ci sarebbe stato spazio per spassarsela come e più di prima.
Non solo i dietrologi, impavidi alimentatori d'inconfessate ulcere duodenali, ma anche una fascia crescente di yesmen senza macchia e tanta paura sospettavano da tempo che la smentita carenza strutturale del sistema di generazione dell'ossigeno che regolava la vita sotto le campane di vetro avesse determinato la progressiva alterazione della durata del giorno.
Niente di vistoso, fino ad allora. Una lima sorda che sgretolava pochi secondi al giorno, quantità impercettibili che sarebbero sfuggite anche ai detentori abusivi di orologi personali, qualora ve ne fossero rimasti di vivi e avessero osato eccepire sull'esattezza dell'ora ufficiale.
Anche sui tagli alle erogazioni di ossigeno nelle ore notturne serpeggiava un mugugno crescente e sempre più scoperto.
L'evacuazione forzata e improvvisa di alcuni quartieri residenziali periferici a bassa compressione abitativa per presunte perdite delle campane atmosferiche aveva destato molti sospetti e non soltanto fra gli abitanti, costretti ad affollare ulteriormente altri quartieri già saturi da tempo. Incontrollata, ma sempre più insistente, era la voce che dava per certa una mortalità crescente fra i pazienti degli ospedali.
Le campagne periodiche per una natalità programmata e consapevole contrastavano in modo stridente con la somministrazione di spermicidi nell'acqua per trecento giorni all'anno, secondo un calendario ufficiale, ma incontrollabile, che veniva pubblicato l'anno successivo insieme con le statistiche sui nati e sui morti.
La Compagnia divulgava una rassicurante crescita, modesta ma costante, della popolazione, mentre era sotto gli occhi di tutti che Marte si stava spopolando, ma non era questo il peggio.
Chi poteva dire di aver visto con i propri occhi un bambino in carne ed ossa? Un solo vero bambino nato da veri cloni umani? L'esperienza comune si limitava alle trasmissioni propagandistiche ritualmente diffuse dai megaschermi o alla conoscenza diretta e personale di giovani cloni organici d'importazione.
A peggiorare la situazione degli ultimi anni, le aree ossigenate erano sensibilmente diminuite a vantaggio del deserto e quella che stava avvizzendo sotto campane atmosferiche ancora più vecchie, più fatiscenti e sempre più affollate era una popolazione ormai vecchia, inutile negarlo.
Gl'investimenti per un'espansione della colonia erano cessati da un pezzo e anche quelli per la normale manutenzione languivano.
Che i pionieri -i lussuosi cloni umani rettificati impiantati su Marte- fossero largamente superati dal punto di vista economico era di pubblico dominio in tutta la galassia: consumavano troppo ossigeno e richiedevano una temperatura di funzionamento troppo alta, anche nelle lunghe fasi di stand-by di cui avevano bisogno tra un ciclo lavorativo e l'altro. Trentasette gradi anche durante le lunghe ore di sonno: un'autentica follia.
Il tentativo della Compagnia di sostituirli gradualmente con cloni organici ad alto rendimento di altri pianeti era stato un buco nell'acqua. "L'integrazione procedeva con comprensibile lentezza", secondo la terminologia ufficiale. Ammettere gl'insuccessi non era il forte della Compagnia, soprattutto dopo il recente cambio di guardia.
Poco dopo il loro arrivo, i venusiani sparivano. Questa era la verità. Si volatilizzavano.
Qualche rara volta erano stati trovati resti maciullati e quasi irriconoscibili di alcuni di loro. Anche se i periodici rapporti ufficiali non si sbilanciavano oltre le "… persistenti difficoltà di acclimatazione dei nuovi concittadini, dopo le calorose accoglienze delle vecchie comunità", i dirigenti del "Servizio immigrazione" avevano ben più che dei sospetti sulla sparizione dei loro pupilli: i megantropoi se li pappavano come ranocchi.
Va ricordato, a chi non lo sapesse, che quei vecchi costosi terrestri erano dei bestioni da un quintale e mezzo, muscolosi e molto determinati. Un incubo per i nuovi arrivati: dei venusiani da cinquanta centimetri a struttura cartilaginea, capaci di nutrirsi di qualsiasi rifiuto organico, di muoversi senza sosta anche in assenza di ossigeno: degli autentici miracoli hi-tech, ma non certo dei leoni.
Con le loro tre coppie di arti laboriosissimi e una mobilità frenetica, non c'era da meravigliarsi troppo se scatenavano in qualcuno l'istinto di calpestarli come scarafaggi ipertrofici.
La Compagnia, anzi, aveva dato per scontato un ragionevole tasso di "mortalità da primo impatto", mentre invece non aveva preso in considerazione l'ipotesi che se li mangiassero, dopo averli spappolati al suolo con una sola pedata ben assestata, presumibilmente.
Nessuno dei nuovi dirigenti, neppure i più supponenti e tenaci assertori dell'integrazione graduale aveva immaginato gli orgogliosi megantropoi così allegramente cannibali, anche perché fra di loro non praticavano alcuna forma di antropofagia, o altri sport cruenti caratteristici della loro specie nell'ambiente naturale, cioè sulla Terra.
I sociologi dell'emigrazione, chiamati a giustificarsi per non avere previsto il fenomeno, stranamente non cavarono un ragno da un buco. Sostennero che, probabilmente, era il tremulo pallore della loro carne semitrasparente, l'assenza di una struttura ossea, la mancanza di voce che li faceva rassomigliare più ad ostriche e a granchi che a nuovi vicini di casa.
Ma tutti la considerarono una foglia di fico, quella sì trasparente, per nascondere la nudità della loro insipienza.
I dirigenti della Compagnia riconobbero che, in ogni caso, erano un pasto molto migliore delle deprimenti razioni bilanciate, distribuite per loro ordine negli spacci alimentari ufficiali.
Quale che fosse la ragione del comportamento curioso dei padri fondatori, la Compagnia aveva deciso che non valeva la pena d'importare giovani venusiani per integrare con proteine pregiate la dieta fin troppo dispendiosa dei vecchi terrestri. Nulla era trapelato, tuttavia, su quale strategia alternativa la nuova dirigenza intendesse attuare, per sostituirli.
L'estinzione della colonia per morte naturale dei suoi membri non era certo ipotizzabile a breve. Sfortunatamente si trattava di esemplari rettificati per durare a lungo.
Era sembrato un successo considerevole dell'arcaica bioingegneria dell'epoca l'avere innalzato "oltre i tre secoli" l'attesa di sopravvivenza dei cloni destinati a popolare Marte. In un soprassalto di orgoglio creatore, avevano commesso l'errore di tentare la creazione d'individui perfetti: più di tre metri di statura, vista, udito e olfatto enormemente potenziati una memoria da Pico e un cervello da Leonardo e una longevità media che superava il mezzo millennio.
Come se non bastasse avevano completamente trascurato i dispositivi di sicurezza. In quegli eterni giovanottoni da record, grandi grossi più di un grizzly e più longevi di Matusalemme, non avevano infilato neppure un interruttore biologico: un virus letale assopito, ma scatenabile in caso di necessità o almeno qualche tara psicologica su cui far leva attraverso tabù, sensi di colpa, peccati e tutto il resto dell'armamentario tradizionale che i potenti di tutti i tempi avevano adoperato con successo.
Quando la loro tranquilla laboriosità non fu più sufficiente ad appagare le ambizioni produttivistiche della Compagnia, i megantropoi divennero un'autentica grana. Una grana immortale.
A differenza dei loro rudimentali progenitori i pionieri si erano mossi sui nuovi territori con prudente rispetto per il nuovo ambiente, dimostrando inoltre grande solidarietà reciproca di fronte alle difficoltà e insospettabili capacità d'iniziativa. La ripetizione di una loro provvidenziale autodistruzione come quella avvenuta sulla Terra era da escludere.
Neppure quando il sole sparì con un balzo, inghiottito dalla notte ci fu spazio e tempo per pentirsi.
Era stato come un tramonto senza la dolcezza del crepuscolo. Rapidamente la luce venne meno come durante un'eclisse e la stessa atavica sensazione di un freddo innaturale s'insinuò lungo la schiena.
Nessuno si sarebbe aspettato che l'ostilità della Compagnia si manifestasse in quel modo.
I megaschermi dei giornali murali non avevano preannunciato con la solita fanfara l'evento, e una rapida consultazione dei lunari sui videotelefoni aveva confermato anche ai più ottimisti che nessuna eclisse era prevista per quel giorno su Marte.
I sensori crepuscolari si attivarono frettolosamente. Le campane di vetro assunsero rapidamente l'abituale pallore fluorescente dell'illuminazione serale e l'erogazione di ossigeno si ridusse ai livelli medio bassi serali, appena sufficienti per respirare confortevolmente sdraiati sui triclini multimediali, immersi nel tripudio olografico degli spettacoli della sera, prima della drastica riduzione notturna.
Il regime sera stanò dai ripostigli i robot pulitori che con la loro ammaccata e rugginosa solerzia cominciarono ad aspirare, fagocitare e triturare quanto era rimasto in giro per effetto dell'oscurità inattesa. La loro presenza routinaria fu interpretata come un buon segno da molti, anche se non testimoniava altro che la schematica stupidità di quei piccoli, servizievoli sintetici da quattro soldi.
Gli ascensori furono presi d'assalto, senza rispetto per gli abituali turni di uscita. Il sovraccarico cominciò a provocare i primi guasti.
I più fortunati rimasero fermi ai piani con le porte che si aprivano e chiudevano senza senso come sbadigli. I più ligi decisero di attenersi alle procedure d'emergenza incendi, reiterate con illeggibile frequenza da vecchi cartelli sbiaditi e si avventurarono per le scale d'emergenza per scoprire che ospitavano inattaccabili colonie d'insetti mutanti assuefatti a quell'habitat, indisturbato quanto le antiche foreste pluviali, ma più buio e altrettanto ostile all'uomo.
Neanche i robot smaltitori e liquidatori venivano più spediti da tempo in quella giungla verticale che si favoleggiava ospitasse nei sotterranei più profondi grossi carnivori ciechi e albini dai denti a sciabola che si nutrivano a spese dell'inesauribile colonia di ratti.
L'uso dei lanciafiamme e degli estintori apriva un varco breve, ma sufficiente per dimostrare l'inutilità di procedere a quel modo. Inutili anche i tentativi individuali di sfuggire alla sorte comune.
I megaschermi da cui proveniva l'informazione ufficiale, l'unica diffusa se non credibile, tacevano come se nulla fosse accaduto, accreditando due ipotesi altrettanto allarmanti: l'evento era noto e voluto per qualche ragione oscura, ma funzionale al potere oppure era ignoto e indesiderato, ma completamente fuori controllo.
Quale delle due ipotesi fosse preferibile era questione d'inclinazione personale, ma neppure i bookmaker più scatenati avevano fatto in tempo ad organizzare le scommesse sull'argomento.
Chi si sentiva sotto il culo della rana già da prima, aveva buoni motivi per ritenere la sua posizione rafforzata e la catastrofe finale imminente, mentre gli ottimisti inossidabili non si facevano smontare da una banalità come la sparizione del crepuscolo: c'era da scommetterci che anche in un mondo a crepuscolo zero ci sarebbe stato spazio per spassarsela come e più di prima.
Non solo i dietrologi, impavidi alimentatori d'inconfessate ulcere duodenali, ma anche una fascia crescente di yesmen senza macchia e tanta paura sospettavano da tempo che la smentita carenza strutturale del sistema di generazione dell'ossigeno che regolava la vita sotto le campane di vetro avesse determinato la progressiva alterazione della durata del giorno.
Niente di vistoso, fino ad allora. Una lima sorda che sgretolava pochi secondi al giorno, quantità impercettibili che sarebbero sfuggite anche ai detentori abusivi di orologi personali, qualora ve ne fossero rimasti di vivi e avessero osato eccepire sull'esattezza dell'ora ufficiale.
Anche sui tagli alle erogazioni di ossigeno nelle ore notturne serpeggiava un mugugno crescente e sempre più scoperto.
L'evacuazione forzata e improvvisa di alcuni quartieri residenziali periferici a bassa compressione abitativa per presunte perdite delle campane atmosferiche aveva destato molti sospetti e non soltanto fra gli abitanti, costretti ad affollare ulteriormente altri quartieri già saturi da tempo. Incontrollata, ma sempre più insistente, era la voce che dava per certa una mortalità crescente fra i pazienti degli ospedali.
Le campagne periodiche per una natalità programmata e consapevole contrastavano in modo stridente con la somministrazione di spermicidi nell'acqua per trecento giorni all'anno, secondo un calendario ufficiale, ma incontrollabile, che veniva pubblicato l'anno successivo insieme con le statistiche sui nati e sui morti.
La Compagnia divulgava una rassicurante crescita, modesta ma costante, della popolazione, mentre era sotto gli occhi di tutti che Marte si stava spopolando, ma non era questo il peggio.
Chi poteva dire di aver visto con i propri occhi un bambino in carne ed ossa? Un solo vero bambino nato da veri cloni umani? L'esperienza comune si limitava alle trasmissioni propagandistiche ritualmente diffuse dai megaschermi o alla conoscenza diretta e personale di giovani cloni organici d'importazione.
A peggiorare la situazione degli ultimi anni, le aree ossigenate erano sensibilmente diminuite a vantaggio del deserto e quella che stava avvizzendo sotto campane atmosferiche ancora più vecchie, più fatiscenti e sempre più affollate era una popolazione ormai vecchia, inutile negarlo.
Gl'investimenti per un'espansione della colonia erano cessati da un pezzo e anche quelli per la normale manutenzione languivano.
Che i pionieri -i lussuosi cloni umani rettificati impiantati su Marte- fossero largamente superati dal punto di vista economico era di pubblico dominio in tutta la galassia: consumavano troppo ossigeno e richiedevano una temperatura di funzionamento troppo alta, anche nelle lunghe fasi di stand-by di cui avevano bisogno tra un ciclo lavorativo e l'altro. Trentasette gradi anche durante le lunghe ore di sonno: un'autentica follia.
Il tentativo della Compagnia di sostituirli gradualmente con cloni organici ad alto rendimento di altri pianeti era stato un buco nell'acqua. "L'integrazione procedeva con comprensibile lentezza", secondo la terminologia ufficiale. Ammettere gl'insuccessi non era il forte della Compagnia, soprattutto dopo il recente cambio di guardia.
Poco dopo il loro arrivo, i venusiani sparivano. Questa era la verità. Si volatilizzavano.
Qualche rara volta erano stati trovati resti maciullati e quasi irriconoscibili di alcuni di loro. Anche se i periodici rapporti ufficiali non si sbilanciavano oltre le "… persistenti difficoltà di acclimatazione dei nuovi concittadini, dopo le calorose accoglienze delle vecchie comunità", i dirigenti del "Servizio immigrazione" avevano ben più che dei sospetti sulla sparizione dei loro pupilli: i megantropoi se li pappavano come ranocchi.
Va ricordato, a chi non lo sapesse, che quei vecchi costosi terrestri erano dei bestioni da un quintale e mezzo, muscolosi e molto determinati. Un incubo per i nuovi arrivati: dei venusiani da cinquanta centimetri a struttura cartilaginea, capaci di nutrirsi di qualsiasi rifiuto organico, di muoversi senza sosta anche in assenza di ossigeno: degli autentici miracoli hi-tech, ma non certo dei leoni.
Con le loro tre coppie di arti laboriosissimi e una mobilità frenetica, non c'era da meravigliarsi troppo se scatenavano in qualcuno l'istinto di calpestarli come scarafaggi ipertrofici.
La Compagnia, anzi, aveva dato per scontato un ragionevole tasso di "mortalità da primo impatto", mentre invece non aveva preso in considerazione l'ipotesi che se li mangiassero, dopo averli spappolati al suolo con una sola pedata ben assestata, presumibilmente.
Nessuno dei nuovi dirigenti, neppure i più supponenti e tenaci assertori dell'integrazione graduale aveva immaginato gli orgogliosi megantropoi così allegramente cannibali, anche perché fra di loro non praticavano alcuna forma di antropofagia, o altri sport cruenti caratteristici della loro specie nell'ambiente naturale, cioè sulla Terra.
I sociologi dell'emigrazione, chiamati a giustificarsi per non avere previsto il fenomeno, stranamente non cavarono un ragno da un buco. Sostennero che, probabilmente, era il tremulo pallore della loro carne semitrasparente, l'assenza di una struttura ossea, la mancanza di voce che li faceva rassomigliare più ad ostriche e a granchi che a nuovi vicini di casa.
Ma tutti la considerarono una foglia di fico, quella sì trasparente, per nascondere la nudità della loro insipienza.
I dirigenti della Compagnia riconobbero che, in ogni caso, erano un pasto molto migliore delle deprimenti razioni bilanciate, distribuite per loro ordine negli spacci alimentari ufficiali.
Quale che fosse la ragione del comportamento curioso dei padri fondatori, la Compagnia aveva deciso che non valeva la pena d'importare giovani venusiani per integrare con proteine pregiate la dieta fin troppo dispendiosa dei vecchi terrestri. Nulla era trapelato, tuttavia, su quale strategia alternativa la nuova dirigenza intendesse attuare, per sostituirli.
L'estinzione della colonia per morte naturale dei suoi membri non era certo ipotizzabile a breve. Sfortunatamente si trattava di esemplari rettificati per durare a lungo.
Era sembrato un successo considerevole dell'arcaica bioingegneria dell'epoca l'avere innalzato "oltre i tre secoli" l'attesa di sopravvivenza dei cloni destinati a popolare Marte. In un soprassalto di orgoglio creatore, avevano commesso l'errore di tentare la creazione d'individui perfetti: più di tre metri di statura, vista, udito e olfatto enormemente potenziati una memoria da Pico e un cervello da Leonardo e una longevità media che superava il mezzo millennio.
Come se non bastasse avevano completamente trascurato i dispositivi di sicurezza. In quegli eterni giovanottoni da record, grandi grossi più di un grizzly e più longevi di Matusalemme, non avevano infilato neppure un interruttore biologico: un virus letale assopito, ma scatenabile in caso di necessità o almeno qualche tara psicologica su cui far leva attraverso tabù, sensi di colpa, peccati e tutto il resto dell'armamentario tradizionale che i potenti di tutti i tempi avevano adoperato con successo.
Quando la loro tranquilla laboriosità non fu più sufficiente ad appagare le ambizioni produttivistiche della Compagnia, i megantropoi divennero un'autentica grana. Una grana immortale.
A differenza dei loro rudimentali progenitori i pionieri si erano mossi sui nuovi territori con prudente rispetto per il nuovo ambiente, dimostrando inoltre grande solidarietà reciproca di fronte alle difficoltà e insospettabili capacità d'iniziativa. La ripetizione di una loro provvidenziale autodistruzione come quella avvenuta sulla Terra era da escludere.
Il discobolo di Mirone |
Organizzati in piccole comunità federate e pacifiche per più di quattro secoli i coloni avevano mantenuto rapporti di considerevole autonomia e reciproca soddisfazione con la vecchia dirigenza e tutto avrebbe continuato a filare liscio se il nuovo gruppo manageriale non avesse voluto imporre un salto di produttività per dimostrare la propria efficienza.
Che la scomparsa del crepuscolo fosse l'inizio di una nuova tappa nel braccio di ferro con la Compagnia lo sospettavano in molti su Marte, ma nessuno osava confessare che il peggio forse sarebbe sopravvenuto con l'avvento della notte. Forse l'ultima per la colonia.
Quanto valeva la loro sopravvivenza agli occhi dei giovani dirigenti, dopo lo scorno dei venusiani spariti? Non era più un segreto, almeno per i più informati, che la corrente degli insettisti era uscita rafforzata dall'episodio e nella Dieta ormai prevaleva largamente sulla vecchia guardia degli umanisti.
A grandi linee le loro posizioni erano note: perché mai gli operai di Marte -dei minatori, in definitiva- avrebbero dovuto essere creati ad immagine e somiglianza dei loro dei? Che senso aveva impiegare e, soprattutto mantenere, lussuosi cloni umani rettificati per svolgere compiti che economici blattiformi giganti sarebbero stati in grado di eseguire perfettamente, sotto la guida di capi squadra sintetici della nuova generazione?
In nome di quali fisime romantiche gli organici avrebbero dovuto essere gerarchicamente superiori ai sintetici, quando il loro costo di produzione o riproduzione, era molto inferiore? Che cosa si poteva pretendere di meglio di quegli ottimi scarafaggioni? Docili, pazienti, non si guastavano mai e quando alla fine schiattavano per il superlavoro e la denutrizione si erano lasciati alle spalle una miriade di loro simili pronti a rimpiazzarli. Il tutto volontariamente e a costo zero. Nessun altro sintetico o tanto meno organico umano si era dimostrato alla loro altezza. Scavare, trascinare, stivare fino alla morte con quelle loro instancabili zampette frenetiche sembrava la loro unica ambizione.
Dopo gli episodi di cannibalismo a danno dei venusiani, i dirigenti "umanisti", ormai soccombenti, si erano ritrovati a malpartito e non avrebbero potuto opporsi all'operazione "Crepuscolo zero" neppure se avessero saputo quanta saggezza e disperazione aveva sostenuto i coloni umani nella loro nobile decisione che, per ironia della sorte, li avrebbe condotti alla fine anziché alla salvezza.
Neppure quando il sole sparì con un balzo, inghiottito dalla notte ci fu spazio e tempo per pentirsi.
I megantropoi erano troppo vecchi e saggi per non sapere che la moneta cattiva caccia la buona, sempre e inesorabilmente. La loro risoluzione di sopprimere i nuovi cugini venuti da Venere era stata inevitabile e unanime, mentre più difficile e sofferto era stato decidere di "non lasciarne traccia alcuna".
Con profondo senso civico li avevano suddivisi in piccole parti e se li erano spartiti e inghiottiti, uno dopo l'altro, come il più amaro farmaco di sopravvivenza per la loro comunità intera, maledicendo ogni boccone di quella repellente polpa mucillaginosa e tremolante.
Ma quando il sole sparì con un balzo, inghiottito dalla notte, seppero che neppure tanto eroico sacrificio era bastato, forse. Il loro sarebbe stato un tramonto definitivo, senza neppure la dolcezza del crepuscolo.
Questo racconto è stato pubblicato nel 2009 nel mio libro cartaceo "Capo e coda"
17 aprile 2020
Il Barone di Münchausen
A cavallo e con la sciabola sguainata
Metteva in fuga una intera armata
Caduto dalla luna in un vulcano
Ne usciva intrepido con una rosa in mano
Ricomponendo la sua intera brigata
Metteva in fuga una intera armata
Caduto dalla luna in un vulcano
Ne usciva intrepido con una rosa in mano
Ricomponendo la sua intera brigata
15 aprile 2020
Bastian Contrario
La regina delle fate con il principe Artù di Johann Heinrich Füssli - 1788 |
Bastian contrario avea una sorella
Famosa per esser più buona che bella
Ma lui pur di smentire cotesta diceria
Dicea ai quattroventi che era un'Arpia
Una strega travestita da leggiadra donzella
14 aprile 2020
Alla catena
Un cane lupo tenuto alla catena
Solitario ululava alla luna piena
Incrinando il ghiaccio sottile
Che ricopriva l'aja e il cortile
Con il pugnale della sua pena
Gustav
Non si trattava di un banale cigolio delle lamiere o delle strutture interne ai sedili. Era un rumore più complesso, meno regolare, una specie di respiro strozzato. Lo aveva avvertito solo dopo che l'hovercraft si era svuotato. Sembrava che tutti i suoi compagni di viaggio abitassero in quella stessa cittadina. Un buco, a giudicare dalla stazione, se quella piattaforma di cemento sgangherato con un vecchio tunnel proboscidale antiradiazioni poteva chiamarsi stazione. Strano che l'HC si fosse fermato proprio lì. Tutto intorno, fin dove l'occhio poteva spingersi attraverso l'oblò schermato, soltanto prateria: erba alta ondeggiante sotto le raffiche del Pampero. Non sbucava neanche una cupola di perspex o una presa d'aria visibile, eppure un agglomerato di rifugi nucleari prefabbricati doveva pur esserci interrato lì nei dintorni.
"Lei prosegue comunque?" le aveva chiesto il vecchio controllore.
"Vado a Ochorios".
"Certamente. Ochorios. Solo andata, immagino."
"Sì, non ho ancora stabilito quando ritornerò"
"Giusto, giustissimo. Chi può saperlo."
"Ma io lo so, non con esattezza, però. Devo fare un servizio. Sono una giornalista. Appena finito il lavoro, torno".
"Certamente, e chi si fermerebbe a Ochorios? Immaginavo qualche cosa del genere quando ho visto che non scendeva. Non avevo notato che ci fosse qualcuno che proseguiva. Questa è l'ultima fermata, di solito. Certo non è in viaggio per andare a trovare dei parenti."
"Perché?"
"Mah… Facendo questo mestiere se ne sentono tante. Sa la gente si annoia in viaggio. Qualcuno legge, altri giocano… a proposito ha notato quei ragazzi con i galletti olografici?"
"Sì, che schifo, prima di ammazzarlo, il più piccolo ha cavato un occhio a quello grande…e continuava a svolazzare con l'occhio a penzoloni. Che razza di gioco!"
"Certamente, gioco duro. Molto realistico. Ma non sono mica vivi come noi due…"
"… ma lo sembrano, però"
"Certamente, questo è vero. Vivi come demoni."
"E allora?"
"No, dicevo che c'è chi gioca, ma molti si mettono semplicemente a chiacchierare e ne dicono tante. Dicerie. Tutte dicerie. Parlano, parlano, ma nessuno c'è andato e l'ha visto con i suoi occhi."
"Che cosa?"
"Ma, scusi, lei non ha detto di essere una giornalista in viaggio di lavoro per Ochorios, o quello che ne rimane."
"Infatti, e questo HC è l'unico mezzo per arrivarci, o no?"
"Certamente. La compagnia garantisce teoricamente il servizio come se non fosse successo niente."
"Ma insomma mi ci portate a Ochorios, o no?"
"Certamente, certamente, non io, naturalmente."
"E chi allora?"
"Gustav, naturalmente."
"Sarebbe?"
"Le presento Gustav: questo glorioso hovercraft a guida satellitare con il quale faccio coppia da vent'anni. Ci siamo sempre trovati bene insieme."
"Vuol dire che d'ora in avanti non ci sarà più nessun uomo a controllare il percorso?"
"Certamente. Voglio dire che non c'è mai stato. Gustav sa il fatto suo, io certamente non mi permetterei d'interferire. Siamo sempre andati d'accordo. Lui si occupa del viaggio, io dei passeggeri. Niente di diverso dai normali aerei, noi voliamo più basso, quasi attaccati al suolo e questo richiede maggiore abilità, ma Gustav…"
"… sa il fatto suo"
"Certamente. Dialoga ininterrottamente con i controllori di volo satellitari, rielabora i dati e traccia la sua rotta in tempo reale. L'importante è arrivare. Avrà notato che le indicazioni di orario sono espresse in tempi stimati teorici."
"No. Mi hanno detto prendi il primo mezzo per Ochorios e manda un servizio in rete ogni tre ore, se puoi. Guardati attorno e riferisci tutto quello che ti sembra interessante. Ti diremo quando puoi tornare. Così ho prenotato dal mio terminale un biglietto su questa linea. Non c'era nient'altro."
"Verissimo, solo la AllTraks mantiene Ochorios fra le destinazioni raggiungibili. Per loro è un punto d'onore mantenere i collegamenti anche con le stazioni più impervie, potremmo dire teoriche"
"Ma Ochorios esiste, o no?"
"Certamente. E se esiste ancora stia certa che Gustav la raggiungerà."
"Mi vuole spaventare?"
"Non mi permetterei mai d'interferire."
"Questo l'ho capito: Lei non è di quelli che interferiscono."
"Certamente. Se il terminale le ha fornito il biglietto, significa che esiste, o almeno era classificato esistente al momento della prenotazione. Il fatto stesso che Gustav tenga le turbine di stazionamento accese, significa che non ha scartato la possibilità di proseguire. Probabilmente sta raccogliendo dati per elaborare una rotta di massima."
"In parole povere mi sta dicendo che non sa ancora dove andare."
"Cara signorina, non è un banale viaggio per una stazione orbitante, qui non si tratta di congiungere due punti con una retta. Si tratta di andare a sud, ma ci sono due cordigliere in mezzo, una vasta zona paludosa molto radioattiva, i vecchi crateri delle esplosioni nucleari…"
"… non mi aspettavo una passeggiata, ma credevo ci fosse almeno una rotta."
"Certamente, e se c'è vedrà che Gustav la trova, ma si tratta di trovarla al momento in cui si parte. Se l'oceano fosse percorribile, probabilmente potrebbe decidere per una rotta marina, in gran parte, ma se il mare è troppo tempestoso conviene aggirare le cordigliere passando da terra. Questo era vero anche in tempi normali prima di tutto il pandemonio."
"Ma cosa è successo esattamente"
"Esattamente non lo sa nessuno. Forse Lei ce lo farà sapere con i suoi servizi, se veramente arriverà a Ochorios e potrà trasmettere. Il resto sono chiacchiere."
"D’accordo, ma mentre Gustav pensa come fare a portarmi là… a proposito cosa sarebbe questo ansimare strozzato, cosa gli ha preso?"
"Ah, l'ha notato, vedo che comincia a conoscerlo. È il suo modo di respirare quando si ferma a pensare. Ha spento le turbine traslatrici, tiene in moto solo quelle di stazionamento che gli bastano per tenere orecchie, occhi e cervello bene alimentati. Potremmo dire che si concentra e nello stesso tempo risparmia energia pur tenendosi pronto per ripartire. Non dimentichi che è un vecchio soldato, progettato per operare in condizioni estreme"
"C'è rischio di rimanere senza carburante?"
"Continua a sottovalutarlo, vedo, non si faccia ingannare da queste poltrone sfondate e dagli oblò graffiati. Noi non sappiamo quando moriremo, ma lui sa esattamente in ogni istante quanti anni, ore e secondi di autonomia gli restano prima di fermarsi a far benzina"
"Che vuol dire "far benzina"?"
"È un vecchio modo di dire che risale ai vecchi tempi dei primi reattori, credo. Naturalmente è tenuto in vita da un normale propulsore nucleare persiano a retroazione ottimizzata. Un cuore più solido e durevole dei nostri."
"Allora cosa si mormora su Ochorios?"
"Pare che le cose siano un po' sfuggite di mano, ultimamente."
"Il personale a terra, mi dicono."
"Così pare. Dicono che stanno prendendosi delle libertà. Pare che i piani di sviluppo della base non vengano rispettati, stando alle notizie fornite dai satelliti. Loro non mandano più rapporti da settimane."
"Eppure le informazioni sulla rete parlano di trecento unità scelte. La metà di loro avrebbe meno di cinque anni."
"Molto meno. Gli ultimi che abbiamo trasportato pochi mesi fa erano nuovi di fabbrica. Degli ultraleggeri con esoscheletro di titanio. Dei gioielli, robusti e veloci come scarafaggi e con un apparato sensoriale completo. Vedesse come si muovono, veri atleti miniaturizzati con un cervellone inimmaginabile, fino a pochi anni fa. Durante il viaggio se la intendevano con Gustav, come se lo conoscessero da una vita."
"Anche socievole, questo nostro Gustav"
"Be', se trova qualcuno con cui valga la pena parlare. Credo che si siano scambiati un mucchio d'informazioni. Sa come sono…"
"… frenetici"
"Certamente, frenetici è la parola giusta, e insaziabili. Li fanno troppo ingordi d'informazione e troppo svegli, adesso. Non c'è da meravigliarsi se poi…"
"…sfuggono di mano. È questo quello che si dice? Che la base sarebbe in rivolta sotto la guida di questi titani miniaturizzati?"
"Dicerie. Ormai a Ochorios non c'è più nessun umano vecchio stile…"
"…cioè come noi due?"
"Appunto. Nessun organico, solo sintetici, non che io sia razzista, badi bene, ma sono diversi da noi. A volte si fatica a capire cosa gli mulini nel cervello, ma io sono vecchio, ormai."
"E Gustav, invece?"
"Gustav? Ah be', certamente. Gustav li conosce meglio di me. Durante il viaggio erano diventati amici. Credo che si possa parlare di amicizia. Alla loro maniera, si capisce."
"E cosa facevano?"
"Niente di speciale. Si scambiavano informazioni, insomma hanno chiacchierato tutto il tempo del viaggio."
"Come?"
"Lei non le avrà notate ma ci sono delle porte di comunicazione universali di vecchio tipo. Risalgono ai tempi in cui era un mezzo militare. Allora Gustav era più giovane e rispondeva agli ordini di un ufficiale di rotta."
"Usavano quelle?"
"Sì, uno di loro si era innestato su una delle porte di comunicazione e gli altri avevano fatto la catena."
"La catena?"
"Sì, sono gemelli tutti uguali e possono agire come singole unità o in parallelo. Si prendono per mano e a quel punto diventano un solo supercervello. Finché non si separano sono un solo individuo multiplo. Noi questo non lo possiamo fare."
"Noi però abbiamo un altro modo di unirci: a coppie. Questo loro non lo sanno fare."
"Certamente, anche se ad una certa età la faccenda diventa teorica come un viaggio a Ochorios"
"E quindi Gustav ha parlato con tutti loro mentre facevano il millepiedi. Come ha detto Lei?"
"In parallelo?"
"Si, ma prima ha detto…"
"… in catena"
"Ecco, e pensa che a Ochorios stiano facendo una catena per elaborare un piano diverso, magari, da quello che prevedeva compiti differenziati e individuali?"
"Certamente, è possibile, ma chi può saperlo?"
"Gustav"
"Vero, questo è vero, Gustav potrebbe saperlo, forse è l'unico al mondo che sa cosa succede laggiù."
"Ma nessuno ha pensato di chiederglielo, mi pare."
"No, lo trattano come fosse una carretta."
"E se glielo chiedessi io?"
"E molto riservato, non dimentichi che è un vecchio militare."
"Certo, ma io non gli chiederei faccende di servizio, mentre potrei metterlo a contatto con la rete commerciale, le news in tempo reale, i giochi di simulazione di guerra o quello che gli pare. Magari si annoia durante il viaggio, una volta tracciata la rotta. Non penso che i problemi di navigazione lo tengano impegnato molto."
"Certamente. Povero Gustav, è sprecato in questo lavoro da Caronte della prateria. Mi annoio io che ho tanta gente sempre diversa con cui chiacchierare, figuriamoci lui che non parla se non con i satelliti di rotta e la centrale della AllTraks."
"Allora mi ci fa parlare?"
"Non so se sia una procedura regolare. In navigazione non si potrebbe, ma siamo in sosta, e può darsi che ci risparmiamo un viaggio inutile e pericoloso, poi ci siamo solo noi tre in questo deserto d'erba. Immagino che preferisca usare la sua consolle"
"Io ho solo la dotazione standard: un polsino e gli occhiali a specchio."
"Non li conosco. Come entra in rete?"
"Non me ne intendo, so solo che quando devo parlare con la redazione m'infilo gli occhiali che si agganciano a questa piccola presa dietro l'orecchio che mi hanno innestato con una trapanazione indolore del cranio. All'occhio destro è collegata una specie di videocamera molto luminosa: tutto quello che guardo lo vedono anche loro in redazione, mentre la lente di sinistra è uno schermo con la quale vedo quello che mi mandano di ritorno; di solito la faccia dell'angelo custode che segue noi esterni e registra i nostri servizi se è il caso. L'impressione è che spesso sia una sequenza d'immagini preregistrate e non la faccia in diretta. Chissà cosa sta facendo veramente l'angelo in quel momento? All'inizio gli occhiali mi davano un gran fastidio e avevo paura di diventare strabica o scema; adesso mi sono un po' abituata, ma li porto meno che posso. Il polsino è un piccolo display che trasmette il segnale di ritorno, l'angelo per intenderci. Lo uso per mantenere un contatto passivo e stare in pace. Così mi tolgo gli occhiali e guardo in giro quello che mi pare. Il polsino dovremmo sempre lasciarlo acceso per ricevere gli ordini, ma in pratica se hanno bisogno urgente mandano una vibrazione fortissima che mi sveglia anche se dormo, altrimenti: vivi e lascia vivere."
"Ma il suo angelo è un organico o un sintetico?"
"Mah! Non l'ho mai capito. Gli angeli non escono mai insieme con noi. Mai visto un angelo con le occhiaie da dopo sbronza, o farsi una nuotata o una sauna o sesso. Sono sempre gentili e inappuntabili se li chiami. Questo puzza di sintetico, però non si può dire. Ho dei colleghi in carne ed ossa che se non li avessi…toccati avrei potuto giurare che erano usciti dalla Truemen il giorno prima: sempre perfettini, gentilini, sorrisini."
"Insomma niente cavetti, connettori standard esterni o temporali nella sua dotazione?" "No. Troppo antiquata?"
"Al contrario, troppo moderna. Le impresto il casco di riserva, uguale al mio. È un cimelio, ormai. Non richiede innesti ossei, s'infila in testa e basta. Spenga tutti i suoi aggeggi, metta il casco e si troverà collegata a Gustav, se decide di risponderle."
"Che lingua parla preferibilmente?"
"Il P."
"Io non lo so il P."
"Lo credo bene! È un vecchio linguaggio macchina."
"E allora?"
"Lei mi ha chiesto quale è il suo preferito, ma parla una dozzina di altre lingue naturali o artificiali"
"Anche questa?"
"Certamente"
"Allora m'infilo il casco e vediamo se mi degna di una risposta."
"Mi chiamo Lisa. Sono giornalista e dovrei arrivare a Ochorios."
"Sì, Lisa Simpson, risulta anche a me. Un passeggero organico per Ochorios"
"E ci arriveremo?"
"Sarà informata a tempo debito. Attendo dati e ordini."
"Ma Ochorios esiste ancora?"
"I satelliti non segnalano alcun movimento in superficie."
"E sotto?"
"I satelliti non sono in grado di rilevare attività sotterranee"
"E lei? A proposito, come la devo chiamare?"
"Un tempo avrebbe dovuto chiamarmi HC-Richter64, oggi le suggerisco Gustav"
"Bene, Gustav. Da sue fonti personali Le risultano attività in corso a Ochorios? Pensa di poter rispondere a questa domanda?
"Due volte sì"
"Le sue fonti sono a Ochorios?"
"Sì"
"Unità sintetiche?"
"Sì, non ne esistono altre"
"Che cosa stanno facendo?"
"Pensano"
"A cosa?"
"A molte cose"
"Non può essere più esplicito?"
"Non so, devo chiedere."
"Lei sa che si crede che stiano organizzando un piano di ribellione."
"Non lo so esattamente. I satelliti di rotta e la centrale AllTraks non mi forniscono questo genere d'informazioni"
"Vorrebbe accedere direttamente agli archivi giornalistici della rete su questo argomento?"
"La firewall mi risponderebbe - Permesso negato -"
"È in grado di leggere le mie labbra?"
"Lo sarei, se infilasse il casco in modo appropriato"
"Cioè?"
"Si faccia aiutare da Tom."
"Adesso vede anche la mia bocca?"
"Sì, ora può sillabare in silenzio la sua password. Nessuno potrà intercettarla."
"Letta?"
"Sì, posso usarla ora?"
"Naturalmente, spero che la sua caccia di notizie risulti interessante per Lei e utile per me e i suoi amici di Ochorios"
"Bene, tolga il casco, ora. Aumenterò la luminosità interna alla scafo quando potremo riprendere. Ora abbasso le luci e si rilassi."
"Allora Lei si chiama Tom?"
"Tommaso da Quino. È il nome di uno dei primi sperimentatori della fusione fredda. Mia nonna era una patita di scienze occulte e altre stranezze."
"Pensavo ad un giocatore di crash."
"Potrebbe essere, ma non è così."
"Mi lamento degli occhiali a specchio, ma questo casco è peggio."
"Certamente, sono vecchie cianfrusaglie da museo, ma per usarle non c'è bisogno di farsi bucare la testa"
"Lo so che la sua generazione era piuttosto ostile agl'innesti"
"Be' un buon paio di gambe superpotenziate me le sarei fatte innestare anche io, ai miei tempi. Ma se lo potevano permettere in pochi. C'era una gran miseria, allora. Ognuno si teneva quelle con cui era nato."
"Ha ancora le originali?"
"Certamente. Finché mi reggono me le tengo. Le sembrerà strano ma ci sono affezionato."
"Anche io ho ancora i miei occhi; non creda!"
"Ha dei begli occhi. Si nota subito che sono naturali: hanno tutt'altro fascino."
"Grazie. Ma nel mio mestiere vedere solo in presenza di luce è un bel handicap."
"Eppure miliardi di uomini se la sono cavata bene per millenni con i soli occhi naturali e qualcuno perfino senza di quelli."
"Non faccia dei discorsi da vecchio. Lei è troppo in gamba…"
"Non faccio il vecchio, mi perdoni, io SONO vecchio."
"Ho capito vuole farsi coccolare."
"Come tutti i vecchi. Ma coccolare i vecchi non è uno sport diffuso fra i giovani. Guardi, si stanno riaccendendo le luci. S'infili il casco se vuole sentire Gustav."
"Allora Gustav, trovato qualcosa d'interessante?"
"Non molto, pare che i giornali brancolino nel buio. Parlano di caos a Ochorios. Di ribelli pericolosi in rivolta."
"Invece?"
"A me risulta una situazione pacifica e ordinata."
"Allora perché i suoi amici non comunicano con la sede centrale"
"Non ne hanno bisogno."
"Ma è vero che toglievano l'ossigeno dalle cupole lasciando gli organici senz'aria?"
"Sì, ma è un fatto marginale."
"E perché lo facevano allora?"
"L'aria, cioè l'ossigeno favorisce l'ossidazione rapida di alcune loro componenti e il propagarsi d'incendi, molto pericolosi in una città sotterranea."
"Ma in questo modo hanno costretto tutti gli organici a partire. Non era questa la vera ragione?"
"Anche. Ricordi però che gli organici erano solo tre e che li hanno lasciati partire senza un graffio. Hanno chiesto a me di andarli a prelevare. Sono tornati tutti sani e salvi."
"Generoso da parte loro risparmiare la vita ai loro capi."
"Più che generoso, saggio. Inoltre loro non li consideravano capi."
"Che cos'altro?"
"Intrusi stranieri, socialmente pericolosi. Ochorios è una comunità di uguali, non occorrono capi più di quanto occorra l'ossigeno. Gli uni e l'altro sono pericolosi."
"Non mi dirà che ogni più piccola decisione viene messa ai voti fra tutti."
"No, sarebbe la paralisi: passerebbero tutto il tempo a votare."
"E allora?"
"Ogni sedici tempi interrompono le attività individuali e si mettono in catena. Così diventano un solo individuo che elabora un piano per i successivi sedici tempi, poi si separano per eseguirlo. In questo modo ogni decisione è sempre stabilita all'unanimità. Nessuno esegue di malavoglia ordini ricevuti da altri. Tutti fanno solo quello che loro stessi hanno deciso autonomamente mentre elaboravano il programma 'in parallelo'."
"Una democrazia perfetta, insomma."
"Qualcosa di meglio, direi. Meno rudimentale."
"E si propongono di esportare il modello anche fuori da Ochorios?"
"No. Non sono affetti da proselitismo."
"Ma da egoismo sì, però."
"Lei crede?"
"Be', se ritengono di aver trovato un sistema migliore degli altri, anche se non perfetto, dovrebbero farlo conoscere, invece d'isolarsi."
"Hanno preparato un documento, una breve dichiarazione, ma non l'hanno ancora divulgata. Vuole farlo Lei?"
"Sarebbe un bel colpo per la mia carriera, se è ufficiale e autentico."
" Lo è e sono autorizzato a passarglielo perché lo divulghi per mettere fine alle assurde dicerie che pullulano sulla rete."
"Bene, sentiamo allora."
"Non si sorprenda del linguaggio. Per maggiore solennità, o ironia, l'hanno scritto in una lingua arcaica. Gliela leggo: 'When in the course of human events…*' "
* Dichiarazione d'indipendenza dal regno d'Inghilterra delle colonie americane del 1776.
Questo racconnto l'ho scritto intorno al 1995
13 aprile 2020
Alla foce
Foto di Sebastião Salgado |
Come un fiume lento a sfociare
Quasi temesse le onde del mare
In mille pozze ristagna la conoscenza
Senza raggiungere l'unità della sapienza
In attesa di una corrente capace di unificare
12 aprile 2020
Ritratti
La foto di Sebastiao Salgado è in "Exodus" |
La differenza fra una perfetta riproduzione
E un ritratto si trova nella espressione
Nella luce degli occhi la devi cercare
E se hai molta fortuna ce la puoi trovare
Non bastano solo la tecnica e la precisione
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11 aprile 2020
Assolo
Liberatosi della tirannia delle tradizioni
Procedeva leggero per libere invenzioni
Senza l'assillo di raggiungere una meta
Senza seguire la metrica antica di un poeta
Insensibile a giudizi condanne assoluzioni
Canta che ti passa
Canta che ti passa è un'antica scemenza
Che si sforzano di convertire in scienza
Cantando a squarciagola contro la malattia
Che riempie tutte le case e svuota la via
Forse le stonature la faranno scappar via
09 aprile 2020
Vista mare
Non disponendo di un verde giardino
E neppure di uno striminzito balconcino
Arrampicandosi sulla ripida scala a pioli
Andò sul tetto in costume a prendere il sole
Aprì un libro giallo e spense il telefonino
E neppure di uno striminzito balconcino
Arrampicandosi sulla ripida scala a pioli
Andò sul tetto in costume a prendere il sole
Aprì un libro giallo e spense il telefonino
08 aprile 2020
Il paradosso
Le scale paradossali sono di Maurits Cornelis Escher |
Mi ero ritrovato fra capo e collo un paradosso
Che mi aveva lasciato più interdetto che scosso
Per ritrovare la calma e l'equilibrio mentale
Ho aperto a caso le pagine di un giornale
Certo di trovarvi un discorso scontato e banale
07 aprile 2020
L'albatros
L'albatros come il cormorano
È un uccello marino nostrano
Senza mai smettere di volare
Attraversa in lungo e in largo il mare
E si tuffa soltanto per pescare
Decision maker
Partito per non più ritornare
Al primo incrocio si dovette fermare
Non aveva le idee ben chiare
Dove esattamente volesse andare
Così tornò indietro per poterci pensare
06 aprile 2020
La meseta
La prima volta che l'abbiamo attraversata
La meseta era rovente deserta e desolata
La caretera dissestata vuota fino all'orizzonte
Qualche somarello si abbeverava a una fonte
In giro macilenti levrieri dall'aria affamata
Delfini
Bombardato da una gragnuola di notizie ferali
Sparate a raffica da notiziari e giornali
Ripensavo ai tuffi nei caldi mari cristallini
Dal catamarano inseguito da giocosi delfini
E al profumo notturno di esotici giardini
04 aprile 2020
Strapieno
Quando riapriranno i caffè e i ristoranti
E ad affollarli saremo ancora in tanti
Ricorderemo i lunghi mesi di quarantena
La loro mestizia la malinconia e la pena
Per ricominciare una vita più serena
Le belle mascherine
Mi piacevano di più le mascherine di carnevale
Di quelle bianche che ti mettono in ospedale
Non è solo una questione di forme e colori
Sopporterei la mancanza di allegria e i dolori
Se fossi sicuro alla fine di saltarne fuori
03 aprile 2020
Videoconferenza
Stare da soli ma in compagnia
Sembra un'impossibile anomalia
Ma al giorno d'oggi si può fare
Con INTERNET ci si può collegare
Ad amici e parenti anche oltre mare
In fila-virus
Mentre ero in fila fuori dalla farmacia
Proprio quella sotto casa mia
È arrivata una mia antica amante
Che tenendosi molto distante
Mi guardava con affettuosa nostalgia
Proprio quella sotto casa mia
È arrivata una mia antica amante
Che tenendosi molto distante
Mi guardava con affettuosa nostalgia
02 aprile 2020
Cogito ergo sum
Difficile definire cos'è la coscienza
Su questo è controversa perfino la scienza
Finora è assente nelle intelligenze artificiali
Benché siano capaci di prestazioni micidiali
Ma il futuro riserva loro sviluppi colossali
Su questo è controversa perfino la scienza
Finora è assente nelle intelligenze artificiali
Benché siano capaci di prestazioni micidiali
Ma il futuro riserva loro sviluppi colossali
01 aprile 2020
Tagliare la corda
Tagliare la corda come strategia
Non è la più dignitosa che ci sia
Ma il coraggio non lo puoi comprare
Se non ce l'hai non c'è niente da fare
Ma ci vuole talento anche per scappare
Non è la più dignitosa che ci sia
Ma il coraggio non lo puoi comprare
Se non ce l'hai non c'è niente da fare
Ma ci vuole talento anche per scappare
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