Quando la raffica si abbatté con imparziale efficacia sugli sfaccendati in chiacchiera, in piedi fuori dal bar a fumarsi la sigaretta dopo il caffè, c'era poca gente in giro, molti erano ancora a pranzo e dalle finestre aperte arrivavano in strada le ultime notizie di cronaca del telegiornale. Ne erano rimasti a terra, immobili, cinque su cinque: stesi tutti. Con il casco integrale e la visiera scura abbassata, giubbotti di pelle e jeans, gli assassini si allontanarono in moto con calma, irriconoscibili come il destino e altrettanto indifferenti.
Quando il ronfare del bicilindrico si spense del tutto in lontananza, il più fortunato, sanguinante e azzoppato, cominciò a scappare come se fosse inseguito e sparì, senza dire una parola. I primi che si affacciarono alle finestre lo videro svoltare per il vicolo a destra, ben prima dell'arrivo del solito corteo di ambulanze e pantere della mobile. I barellieri ne portarono via quattro chiusi nei sacchi. I poliziotti segnarono con il gesso la posizione dei corpi sulla strada, fotografarono asfalto e muri, raccolsero i bossoli e le prime testimonianze. Nessuno della zona aveva visto sparare; riferirono solo che un passante, un tipo comune, sparito a sua volta, forse aveva assistito a tutta la scena, ma nessuno lo aveva riconosciuto, parlava italiano, però; prima di andarsene a piedi, al telefonino aveva detto: "Quattro su cinque. Dilettanti!"
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