Il bagno d'aria
Passare due settimane in un reparto geriatrico non è uno di quegli spassi che ci si augura capitino spesso, ma se proprio capita, non si può fare a meno di guardarsi intorno e cercare qualche motivo di distrazione, se non proprio di divertimento.
I quattro compagni di stanza sembrerebbero, a colpo d'occhio, i primi da cui ricavare qualche motivo di conversazione, a patto che non siano immobili nel proprio letto con una maschera di ossigeno o, addirittura, con il sondino per l'alimentazione artificiale che impedisce tutto, fuorché una sopravvivenza stentata. E' chiaro che in quelle condizioni è meglio evitare inutili tentativi di attaccare discorso e ci si accorge in fretta che è imperativo, invece, distogliere lo sguardo dai compagni di avventura e non certo per motivi di privacy, perché questa è la sola condizione che non esiste, in assoluto.
Dopo qualche tempo, durante le lunghe ore di solitudine, sembra non rimanga altro che leggere anche di notte dal tablet retroilluminato un avvincente romanzo investigativo o infilarsi le cuffiette e lasciarsi rapire da qualche brillante conferenza di filosofia di Maurizio Ferraris -il re dell'understatement ironico- o del filologo Luciano Canfora: insondabile pozzo di sapere.
Naturalmente, prima di poter benedire San Youtube che ce le scodella sempre pronte ad ogni ora, bisogna essere riusciti a sconfiggere l'ostilità della rete Wi-Fi dell'ospedale che, con la scusa di essere ancora in fase sperimentale da almeno tre anni, è amichevole quanto i puzzle di Turandot: ” Gli enigmi sono tre; la morte è una “
La rete "areAOSPiti" del Sant'Orsola non è una rete-per-vecchi, decisamente (e neanche per giovani), anche se, alla fine, è stato uno strumento prezioso e di gran lunga il più efficace per far passare il tempo.
La vera e la sola "ora d'aria" però, è stata quella delle graditissime visite dei miei cari, di grande sostegno e molto presenti, anche per una intelligente politica del reparto sugli orari di visita.
Indispensabile, però, al loro arrivo allontanarsi subito dalla stanza, infestata da badanti e parenti altrui, e rifugiarsi su di un divanetto in una saletta di ricevimento o nei grandi corridoi di accesso e raccordo fra i vari reparti. L'attrattiva di questi non-luoghi deriva dalla presenza di personale ospedaliero e di visitatori, insomma di gente a piede libero, non ricoverata e costretta a rientrare nella stanza alla fine dell'intervallo.
Le ore più belle sono state proprio quelle passate a chiacchierare scherzosamente con moglie e figli, ma l'episodio più memorabile è accaduto nella stanza, durante una pausa fra le attività frenetiche delle infermiere, intente a preparare i pazienti allo show del mattino: la rituale visita del drappello di medici e caposala, in coda al primario o, meno pomposamente, in sua assenza.
Uscendo dal bagno per tornare a letto in una bella mattina invernale, guardando verso il finestrone che inondava di sole l'interno, non potei evitare di soffermarmi su di un paziente, solitamente irrequieto e rumoroso, che lasciava penzolare le gambe aperte dalle sponde del letto. Era completamente nudo e stava finendo di arrotolare meticolosamente, come fosse uno spago da riporre nel cassetto di cucina, il tubicino della flebo, dopo essersi liberato anche del catetere. Aveva l'aria beata e soddisfatta di chi ha compiuto l'opera sua e si gode un meritato bagno d'aria e di luce, prima che infermiere e badanti lo scoprano e arrivino a rompere l'incantesimo.