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07 agosto 2019

Pipae, piparum, pipis (quarta parte)

Pipae, piparum, pipis (quarta parte)



Non ho mai conosciuto un indiano d'America in penne e ossa in vita mia. Il solo che ho incontrato era un moroso di mia figlia quando studiava ad Andover: il prestigioso college vicino a Boston .
Era un ragazzo tranquillo e silenzioso; si chiamava Oni at se (Nuova Neve che scende), ma non fumava nemmeno una banale pipa nostrana.
Mi sarebbe piaciuto incontrare un vecchio che avesse un kalumet tradizionale fra i suoi ricordi di antenati e sapesse dirmi qualcosa di vero su come lo caricavano e cosa mettevano dentro al fornello veramente.
Si è letto di cortecce di piante dal sapore amaro, addolcite con altre meno sgradevoli e di graminacee, ma sono fonti poco attendibili.
Si sa che tutte le tribù avevano uno stregone che li mettesse in contatto con il Grande Spirito quando non bastava il fumo del kalumet che si innalzava verso gli spiriti degli antenat,i ma non è mai comparsa la notizia che fra le funzioni indispensabili alla coesione e alla serenità di una tribù ci fosse un tabaccaio: un addetto a procurare le erbe da fumare dentro alla pipa sacra che tanta importanza aveva nelle tradizioni individuali e sociali degli indiani.
È certo che il cannello era lungo una spanna o anche molto di più, era di legno di frassino e, solitamente, veniva ornato e impreziosito con penne, frammenti di corno di animali che venivano cacciati per la sopravvivenza della tribù.
Il fornello riccamente intarsiato era di pietra scura o di alabastro.
Ogni membro della tribù aveva la sua pipa personale, ma nelle importanti riunioni tutti fumavano in cerchio la stessa pipa rituale passandosela di mano in mano.
Di kalumet veri ne ho visti alcuni una volta sola in vita mia, appesi alle pareti di una strana osteria in cui eravamo capitati per caso.
C'erano anche frecce piumate, lance, archi e amuleti vari. Nel mezzo della sala c'era una specie di trono di cuoio con le gambe ricavate da grossi corni di bisonte.
Ai tavolini dell'osteria sedevano dei veri indiani con l'aria piuttosto sconsolata. All'esterno non cavalli, ma sgangherati pick up erano i mezzi con i quali avevano raggiunto l'osteria dalle loro abitazioni nella riserva nella quale eravamo capitati senza saperlo.
Mia figlia Valeria aveva terminato il suo anno di studio e mio figlio Marco ed io eravamo andati a prenderla a Boston, ma prima di rientrare a Bologna avevamo fatto un lungo viaggio di una quarantina di giorni, da nord a sud da est a ovest, negli Stati Uniti d'America, servendoci di aeroplani e auto noleggiate agli aeroporti.
Durante una di queste scorribande in macchina, non lontani dal Grand Canyon, ci eravamo imbattuti per puro caso nell'osteria dei kalumet e del trono di bisonte .
Nessuno dei presenti seduti ai tavoli fumava kalumet o simili e non avevano l'aria di parlarne volentieri con uno stupido straniero in vena di chiacchiere.
Un 'occasione persa, insomma.

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