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29 febbraio 2008

In pace

ven. 21 aprile 2006 In pace

Quando Martino uscì di casa, non aveva maturato alcun proposito chiaro, tantomeno quello di farsi travolgere da un treno in corsa, anche se la Freccia del Sud sarebbe passata di lì a poco con il suo impressionante frastuono metallico e la malinconica scia di polvere e cartacce.

Era uscito dalla porta posteriore accompagnandola con la mano perché non sbattesse. La casa era silenziosa e dalle persiane socchiuse la luce dorava il pulviscolo prima di disegnare un triangolo netto sul pavimento di mattoni, lasciando tutto il resto nella penombra. Un paio di mosche agonizzavano freneticamente sulla carta moschicida appesa al soffitto.

Senza vederli, lasciò scorrere lo sguardo sul disordinato panorama di attrezzi arrugginiti, sui cumuli di legna ancora da spaccare, sulla falciatrice meccanica da riparare, vicino al pozzo dismesso e al trattore a riposo poco sotto la massicciata, alta come un argine.

Si era incamminato lungo i binari senza una vera ragione, forse perché la strada carrozzabile era più distante da casa e più frequentata della via ferrata. In quel momento non aveva voglia d'incontrare qualche vicino che vedendolo a quell'ora in camicia bianca, con le mani sprofondate nelle tasche gli facesse qualche domanda o lo salutasse, semplicemente.

Fatte poche decine di passi verso il ponte, offuscato dal tremolio della calura, si voltò indietro a guardare casa sua ed il filare di pioppi della carreggiata ghiaiosa che la raccordava alla provinciale e, più in là, ma con la stessa indifferenza, si soffermò sul campanile muto, accostato alla pieve di mattoni, chiusa da anni e avviata alla rovina.

Padulle

Cercò di ricordarsi l'ultima volta che era stato svegliato dalle campane slegate dopo la Pasqua, ma non riuscì a ripescare dalla memoria niente di più di una sensazione sbiadita, un ricordo confuso di ramoscelli d'ulivo benedetto, bagnati nell'acqua santa, da appendere ad un chiodo perché ingiallissero sul muro di cucina. C'era poco da rimpiangere, del resto; erano stati anni duri, quelli, di polenta scondita e inverni freddi con poca legna da bruciare, una nebbia cattiva e il ghiaccio dentro i vetri di casa.

Ricominciò a camminare al centro dei binari. Faceva lunghi passi cercando di poggiare i piedi sulle traversine di castagno per evitare la ghiaia tagliente; camminava sempre più in fretta, quasi temesse di mancare un appuntamento. Giunto sul ponte, accaldato e ansimante, prese fiato, quasi fosse arrivato alla meta e si fermò a contemplare la curva placida del fiume, maestosa e immutabile. Una frasca di salice si abbandonava mollemente alla corrente silenziosa. Una pace perfetta, se non fosse stata turbata dal presentimento del rumore irriverente prodotto dal treno al suo passaggio sulle arcate: un frastuono sempre più forte, insopportabile, quasi fosse veramente alle sue spalle.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven. 21 aprile 2006 Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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