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09 marzo 2008

Foglie scompaginate di una Sibilla stanca

lun. 18 agosto 2003 Foglie scompaginate di una Sibilla stanca

Capitava di rado che i rumori della strada filtrati dalle vecchie imposte con le gelosie e dagl'infissi di legno mi raggiungessero e mi svegliassero mentre dormivo nel grande letto di rovere chiaro dall'alta testiera scolpita.

A volte era l'invito cantilenante del venditore di frutta che spingeva a mano un carro lungo e stretto su due sole ruote. E' un ricordo molto lontano e sbiadito, mentre ricordo molto bene quando Luisa entrava dalla porta, chiusa durante la notte, per annunciarmi che era ora di alzarsi. Lo diceva una sola volta, a bassa voce, poi andava ad aprire entrambe le finestre della grande stanza e m'informava, in dialetto, sul tempo: "C'è il sole, ma è freddo; oggi piangono i malvestiti”. Trovavano posto in questi bollettini sintetici, secoli di cultura contadina tramandata immutata da chi dal tempo aveva tutto da guadagnare o da temere e gli attribuiva il peso centrale che meritava.

"Fervarot curt, curt.." a volte erano solo frammenti di espressioni che venivano pronunciate per intero solo in rare occasioni ed assumevano finalmente un senso compiuto, altrimenti erano foglie scompaginate di una Sibilla stanca di oracoli troppo espliciti.

Di questi bollettini tenevo conto nel vestirmi per uscire, ma erano, soprattutto, un aiuto ad interpretare, nel modo tradizionale più consolidato, tempo e stagioni; un invito a partecipare, almeno emotivamente, ad un mondo povero, parsimonioso e attento che si sosteneva e si fondava sull'agricoltura, praticata con strumenti e ritmi millenari che sarebbero spariti definitivamente nel giro di pochi, pochissimi anni.

Prima di uscire mi aspettava una colazione quasi sempre immutata: il caffè profumato nella piccola napoletana; la profonda tazza senza manici piena di latte ricoperto di panna per la zuppa di pane secco, tagliato in pezzi sul tagliere scavato e destinato anche ad una nuvola di passeri che affollavano rumorosamente il davanzale, vicino alla stufa a legna della grande cucina.

Una variante invernale, ambitissima, era costituita dalle losanghe ancora gonfie di gnocco fritto avanzate dalla sera prima, da tuffare con arte e circospezione nel latte caldo perché le riempisse e riscaldasse a nuova vita.

Complementi lussuosi erano i barattoli delle più varie origini e misure, pieni di marmellata brusca di amarene preparata all'inizio dell'estate e di quella nera di prugne preparata alla fine. Solo durante la stagione dell'uva poteva esserci una magnifica tazzina di sughi da gustare prima con gli occhi che con la bocca e, durante l'inverno, il sapore da spalmare sul pane o assaggiare puro a cucchiaiatine caute e consapevoli della sua natura preziosa .



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun. 18 agosto 2003 Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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